“Noi dobbiamo essere pronti a cambiamenti continui per proteggerci dalla forteQuesto scriveva Carlo Maria Cipolla negli anni ’90 e fa capire come mai lamentarsi con l’euro non serve a nulla. L’Italia importa quasi tutte le materie prime le lavora le trasforma ed esporta i prodotti.
concorrenza dei paesi asiatici, per non farci soffiare i mercati che sono la fonte della nostra ricchezza. Anche qui la storia insegna. Nel corso del Seicento lasciammo che l’Inghilterra, l’Olanda e la Francia producessero beni a costi inferiori ai nostri che piacquero di più dei nostri. In conseguenza nei neri decenni fra il 1620 e il 1680 le esportazioni italiane crollarono. E il crollo delle esportazioni significò la rovina dell’Italia” .
Di nostro abbiamo il marmo, molta acqua (anche per questo le tariffe dell’acqua nonostante tutto sono le più basse d’Europa) e poco altro, questo vuol dire che a partire dall'energia dipendiamo dalle importazioni, ed è un dato concreto che si riscontra dalla bolletta della luce, alla benzina, fino all’incidenza del trasporto in tutti i prodotti che troviamo sugli scaffali. Industria manifatturiera ovvero trasformazione del prodotto e innovazione dovrebbero essere i pilastri della crescita economica che deve essere orientata all’estero secondo lo schema di qualsiasi manuale di economia aperta.
Se l’Italia non esporta e perde quote di mercato, muore è quello che stà succedendo. Non oggi è una tendenza da qualche decina d’anni, l’Italia non spende in ricerca non da oggi da qualche decina d’anni, investiamo in ricerca e sviluppo in proporzione del pil all’incirca la metà della Germania, due terzi della Francia, un terzo o poco di più nei confronti della Finlandia, Giappone, Sud Corea e Usa, un quarto nei confronti di Israele (Fonte).
Le università italiane strette nei sistemi feudal-baronali perdono posti nelle graduatorie bibliometriche (il libro di perotti “l’università truccata” ne da un buon riassunto), in questo contesto non vi può essere promozione dell’innovazione, ciò vuol dire che le imprese estere vivono in contesti più produttivi ed efficienti delle nostre, si ripercuote sull’economia, sui salari e la crescita si arresta.
La finanza pubblica poi fa il resto, senza crescita nessuno può credere che l’Italia sia in grado di mantenere le proprie promesse e in tempo di incertezza finanziaria i titoli nostrani sono i primi ad essere colpiti. E’ vero che l’Italia ha già superato la quota del rapporto tra debito pubblico e pil del 120% nel 1994, ma le prospettive di crescita erano maggiori di adesso e i programmi di riduzione del deficit che l’italia ha intrapreso sono stati credibili e hanno permesso al paese di entrare nell’unione monetaria.
Ci si può lamentare con l’euro che è sotto attacco e ciò è fondato, ma la verità e che ci si dimentica il periodo di entrata in vigore.
Il database della banca d’italia è a disposizione di tutti e chiunque può farsi un’idea dell’andamento dei rendimenti dei titoli di stato (fonte).
I btp decennali avevano rendimenti nella prima metà degli anni ’90 della lira costantemente sopra il 10%, il rendimento è calato dopo il ‘95 grazie alle manovre di correzione della spesa pubblica imposti dal trattato di Maastricht alla politica di contenimento dell’inflazione e al rientro della lira nello sme avvenuto nel 1996. Al momento dell’adozione dell’euro il rendimento è precipitato al 4%, per ristabilizzarsi tra il 99’-2000 al 5-5,5% e scendere nuovamente attorno al 4% nel 2004 e ulteriormente al 3,5% nel 2005.
Il rialzo dei tassi di interesse della banca centrale europea incise sull’evoluzione dal 2006 ma mantenne medie di rendimenti al di sotto del 5%. Ci si chiede cosa sarebbe successo senza le correzioni degli anni’90 senza la moneta unica a che livello sarebbero arrivati i tassi di interesse su i btp oppure se i btp sarebbero ancora scambiati sul mercato.
Pertanto i dati suggeriscono che l’euro è stata una manna per lo stato italiano, ha consentito finanziamenti ragionevoli per un’amministrazione pubblica che non li meritava.
Ci si lamenta con Maastricht perché non ha portato i risultati sperati, il rapporto tra il debito pubblico e il pil ha avuto un andamento discontinuo dal 94 è calato per arrivare fino al 103% del 2003 ( fonte )ma non è mai sceso al di sotto del 100% ed è risalito dopo la crisi al 120% odierno, questo a prima vista parrebbe sensato. Ma non si contesta il fatto che i provvedimenti e le riforme non siano stati sufficienti, si rimpiange il vecchio sistema, quello degli anni ’80 in cui a colpi di deficit pubblici del 10% del pil annuale si è portato il rapporto debito pil dal 60% degli anni ’70 al 120%, una via che inevitabilmente ci avrebbe portato al collasso già da più di un decennio.
La verità è che l’euro per l’italia è una scusa più che un problema, è fonte di complotti da parte di qualche mentecatto ( fonte ) che si inventa pianificazioni naziste a tavolino fatte 70 anni fa (per gli storici l’unione economica europea è uno dei più rilevanti successi di pace dopo la seconda guerra mondiale altro che complotto), ma queste non sono obiezioni serie.
MMST