Visualizzazione post con etichetta soci bankitalia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta soci bankitalia. Mostra tutti i post

giovedì 11 novembre 2010

La frottola dei soci occulti della Banca d'Italia (aggiornamento)

Pubblico la nuova versione della sezione omonima dell'ormai noto pdf di Foto Gian

Un'altra frottola riguarda i soci della Banca d'Italia, che sarebbero ignoti, mentre Bankitalia
sarebbe una società per azioni.
Nel primo numero del 1994 il settimanale religioso Famiglia Cristiana ha scritto che l'elenco dei partecipanti era riservato. Concetto ribadito da molti siti internet interessati al signoraggio.
La memoria rimanda alla bufala secondo cui Kennedy è stato ucciso per questioni legate al signoraggio. Se si cerca la fonte nel libro Il paese dell'utopia, si scopre che la fonte è un periodico religioso, che ha collegato la morte di Kennedy al signoraggio.

Insomma, che si tratti dell'uccisione di Kennedy o dei partecipanti al capitale della Banca d'Italia, la fonte è sempre un periodico religioso. Non un testo di economia o di storia.
Ma cosa si sapeva prima del 2004? Volendo, si poteva sapere tutto. Basta cercare i bilanci delle banche degli anni 1999-2001 per trovare indicazioni sulle quote del capitale della Banca d'Italia.

Ecco alcuni esempi.
Nel bilancio della piccola Cassa di Risparmio di San Miniato del 2001 (pag. 106) è iscritto lo 0,2173% del capitale della Banca d’Italia per un valore nominale di 652.000 lire.
Nel bilancio 2000 di Unicredit Group4 si trovano le quote (oltre il 10% in totale) possedute dalle nove controllate.
Il Banco di Sicilia (pag.222/339) nel 2000 aveva quote corrispondenti al 6,343% del capitale di Bankitalia. Il Monte dei Paschi di Siena (pag.108) nel bilancio 2002 risulta avere 7500 quote.
Milano Assicurazioni (pag. 296) nel 2001 aveva 2000 quote.
I dati nei bilanci delle singole banche erano quindi disponibili prima dell'elenco presentato da
Mediobanca, che ha solo letto i bilanci di banche e assicurazioni prendendo nota delle quote del
capitale di Bankitalia possedute da ciascuna.

Chiunque avrebbe potuto fare lo stesso. Bastava disporre dei bilanci delle banche. Ma nessuno l'ha mai fatto fino al 2003. I dati quindi non erano riservati. Semplicemente nessuno è mai andato a cercarli.

O forse nessuno ha mai cercato le fonti. Io ho chiesto aiuto al professor Gianni Toniolo, che mi ha consigliato di cercare i libri di Renato De Mattia. Ho trovato Storia del capitale della Banca d'Italia e degli istituti predecessori, edito dalla Banca d'Italia nel 1977.

Curioso che è stata la Banca a pubblicare su questo tema un libro consultabile in decine di
biblioteche pubbliche in tutta Italia.

E colpisce che, come si può leggere a pag. XVIII della prefazione, il primo ad essersi occupato -con l'assenso del governatore Azzolini- del tema del capitale della Banca è stato, nel 1938, Paolo Baffi, che diventerà governatore.

Lo studio di Baffi, interrotto a causa della guerra, è stato poi ripreso, idealmente, da De Mattia a metà degli anni '70 ed sfociato in un voluminoso libro in 2 tomi edito dalla Banca d'Italia.
Ce n'è abbastanza per escludere una volontà di nascondere i dati da parte della Banca d'Italia.
De Mattia ricostruisce la storia della Banca d'Italia, che nasce nel 1893 dall'unione di diverse banche con diritto di emettere moneta presenti nel momento dell'Unità d'Italia. E' una società per azioni e le sue 300.000 azioni finiscono nelle mani di azionisti privati, in maggioranza liguri e piemontesi.

Le azioni sono quotate in molte borse italiane e, negli anni venti, il loro prezzo oscilla troppo. Così dopo la riforma bancaria del 1926, la Banca d'Italia decide un aumento di capitale. Si emettono 200.000 azioni, metà delle quali assegnate alle Casse di Risparmio, che si impegnano a non rivenderle per almeno 10 anni. Lo scopo è stabilizzare il prezzo delle azioni.

Le casse di risparmio si ripartiscono le azioni “in proporzione ai depositi amministrati” a fine 1927 e l'elenco è stato pubblicato nella Relazione all'adunanza generale straordinaria degli azionisti della Banca d'Italia del 18 giugno 1928. Sono 107 le casse che aderiscono all'aumento di capitale e i nomi si trovano nella tabella 20 del tomo II del libro di De Mattia, divise per aree geografiche.
La suddivisione regionale risponde a una esigenza di attenzione ai territori richiesta alla Banca, che nomina il Consiglio Superiore con diverse elezioni presso le sedi regionali.

Nel 1936 cambia tutto. La Banca d'Italia non è più una spa. Diventa un istituto di diritto pubblico.
Si procede al rimborso degli azionisti privati, che ricevono 1.300 lire per ogni azione posseduta e all'assegnazione, da parte di un Consorzio, delle quote del capitale da parte dei "partecipanti" che possono essere solo banche, assicurazioni e istituti di previdenza.
Il Consorzio decide che le casse di risparmio, che nel frattempo hanno comprato altre azioni (circa 42.000) nella speranza di contare di più nel rapporto con la Banca d'Italia, investano nel capitale della Banca la somma derivante dalla rimborso delle azioni.
1300 lire per oltre 140.000 azioni (100.000 sottoscritte nel 1926 più quelle acquistate in seguito) danno luogo a un rimborso di oltre 185 milioni di lire, reinvestiti, da 88 casse in 185.056 quote (su 300.000 totali).

La maggioranza del capitale è in mano alle casse di risparmio, che tuttavia decidono poco o, meglio, nulla, come ha raccontato lo storico Luigi De Rosa [nota].
Le restanti 114.944 quote sono ”ripartite pro rata fra gli alti enti e istituti nominati dalla legge partecipanti al consorzio”11, vale a dire tra 11 banche, 9 assicurazioni e l'INPS che ottiene 15.000 quote.
Tutto ciòè raccontato da De Mattia nel libro del 1977, ma era noto già nel 1937.

Basta procurarsi l'Adunanza generale ordinaria dei partecipanti di Banca d'Italia relativo al 1936, l'equivalente dell'epoca della Relazione annuale del governatore per leggere a pagina 71 che:

"Al 31 dicembre 1936, gli enti e istituti possessori delle 300 mila quote di partecipazione al
capitale della Banca erano suddivisi nelle seguenti categorie:
Casse di risparmio, n.88 per quote 185.056
Istituti di credito e banche di diritto pubblico, n.11 per quote 68.444
Istituti di previdenza, n.1 per quote 15.000
Istituti di assicurazione n. 9 per quote 31.500"

De Mattia offre dati più particolareggiati, perché -si può supporre- ha avuto a disposizione
documenti presenti solo nell'archivio romano della Banca. E' così possibile conoscere la
distribuzione delle quote per per categorie di soggetti proprietari e in base alla distribuzione
territoriale (tabella 21, tomo II), distribuzione utile a capire quali banche possedessero quote.

Ad esempio esiste un solo istituto di diritto pubblico toscano: può solo essere il Monte dei Paschi di Siena; un solo istituto in Piemonte, che possiede 2500 quote: è l'Istituto Bancario San Paolo.

Infine De Mattia racconta i pochi passaggi di proprietà delle quote dal 1937 in poi. In pratica il capitale della Banca è rimasto sempre nelle stesse mani.
Fino al 1992, aggiungo io, quando arriva la legge Amato-Ciampi che dà il via al valzer delle fusioni e acquisizioni bancarie e, con esse, all'aggregazione delle quote del capitale della Banca d'Italia, possedute oggi per oltre il 42% dal gruppo Intesa-San Paolo direttamente e indirettamente attraverso le banche controllate, come la Cassa di Risparmio di Bologna.

Il fatto che solo nel 2003 siano saltate fuori notizie sui partecipanti al capitale si spiega con i pochi passaggi di quote da una banca all'altra. Un tema interessa se cambia qualcosa. La distribuzione del capitale della Banca d'Italia è rimasto praticamente invariato per decenni e a pochi è venuta la voglia di occuparsi dell'argomento.



[nota]
De Rosa, Storia delle casse di risparmio e della loro associazione, Laterza, pag. 306 e seguenti
De Rosa racconta che il presidente dell'associazione delle casse (ACRI), De Capitani, riteneva di poter contare di più nel Consiglio Superiore della Banca d'Italia e per questo motivo chiese alle casse di acquistare azioni. Aveva ricevuto assicurazioni in tal senso dal governatore Azzolini.
Ma alla fine nel Consiglio Superiore non entra alcun rappresentante delle Casse, che pure avevano oltre il 60% delle quote, a dimostrazione di quanto contino davvero i partecipanti nella Banca.
Nello statuto si stabilisce infatti l'incompatibilità per gli amministratori delle Casse di Risparmio, delle Banche e degli Isituti di diritto pubblico a far parte del Consiglio Superiore della Banca d'Italia.
Le Casse protestano ma si sentono rispondere che gli istituti vigilati non potevano diventare organi vigilanti e che tale decisione era stata presa da Mussolini (De Rosa, pagg. 313-314)