lunedì 5 luglio 2010

Signoraggio, tra mito e realtà


Ho trovato un articolo,

Signoraggio, tra mito e realtà

sul sito http://phastidio.net/ e l'ho trovato molto interessante.
Ve lo riporto.



Questo articolo rappresenta un tentativo di spiegare cosa è il signoraggio, come si produce ai nostri giorni, quale è la fondamentale differenza tra signoraggio nominale, reale ed imposta da inflazione, quale è il ruolo delle banche commerciali nel processo di creazione della moneta, attraverso il meccanismo del moltiplicatore dei depositi indotto dalla riserva obbligatoria. L’imperfetta conoscenza dei meccanismi economici alla base del processo di creazione della moneta ha concorso ad alimentare alcuni miti intorno al concetto di “moneta fiduciaria”. Riteniamo quindi opportuno e necessario tentare il debunking di tali miti.

Cosa è
Il signoraggio è l’insieme delle risorse ottenute da chi emette moneta, in virtù del proprio potere di emissione. In un regime monetario metallico quale quello esistito in Occidente fino al Ventesimo secolo, il signoraggio deriva storicamente dall’inclusione dei costi di coniazione nelle ragioni di scambio tra metallo coniato e non coniato. Tale ragione di scambio è superiore all’unità (cioè produce un signoraggio) in quanto chi emette moneta deve recuperare i costi della coniazione. Con il progressivo rafforzamento dell’autorità centrale dello stato si afferma il monopolio statuale della coniazione e si attribuisce alla moneta legalmente certificata potere liberatorio nei confronti dei rapporti di debito, in primo luogo del debito fiscale. Il signoraggio viene così ad includere un vero e proprio profitto di monopolio. Il passaggio al corso forzoso della moneta, nel corso del Ventesimo secolo, implica che la carta moneta non rappresenta più una passività redimibile in risorse reali nei confronti dello stato. Quest’ultimo può quindi acquisire risorse reali emettendo debito irredimibile (la moneta) a fronte del quale non contrae alcuna obbligazione di pagamento per interessi.

Un esempio concreto
Nel caso canadese, il Ministero delle Finanze paga la Zecca (Royal Mint) per produrre e distribuire monete metalliche. Il “costo industriale” di produzione è attualmente pari a 12 centesimi per moneta di valore nominale pari a un dollaro. L’utile della Royal Mint equivale quindi ad un signoraggio di 88 centesimi per ogni dollaro posto in circolazione. Per le banconote, responsabile dell’emissione è la Bank of Canada. Qui il processo di contabilizzazione del signoraggio è diverso rispetto al caso delle monete metalliche. La banca centrale utilizza le banconote per acquisire titoli governativi fruttiferi. In Canada, il reddito da interessi ha oscillato tra 1,7 e 2,2 miliardi di dollari annui. Detratte le spese operative della banca, che includono i costi di stampa e distribuzione delle banconote e quelli per il ritiro e la distruzione delle banconote logore (spese complessivamente stimate in 130 milioni di dollari annui), la differenza viene acquisita dall’Erario. Il reddito da signoraggio su banconote rappresenta, quindi, una forma di finanziamento (peraltro piuttosto contenuta) della spesa pubblica federale, alternativa (o più propriamente aggiuntiva) all’imposizione fiscale.

Il signoraggio, oggi
Ai giorni nostri, un governo che voglia utilizzare il signoraggio per finanziare il proprio deficit non ricorre alla stampa diretta di moneta, ma utilizza un procedimento indiretto. Il Tesoro emette titoli governativi fruttiferi per un importo pari al deficit da finanziare. Ma, anziché essere collocati presso i risparmiatori, tali titoli vengono sottoscritti dalla banca centrale, che può essere costretta a farlo in caso non sia indipendente dal potere politico. La banca centrale stampa quindi il denaro necessario per acquistare i nuovi titoli di stato emessi, e lo consegna al Tesoro nazionale, che se ne serve per compiere i propri pagamenti. Questa operazione di stampa di cartamoneta per acquisto di titoli governativi di nuova emissione è del tutto equivalente alle c.d. “operazioni di mercato aperto”, attuate dalle banche centrali per regolare la liquidità di sistema.

Riassumendo: il nuovo deficit pubblico equivale alla variazione dello stock di titoli di stato circolanti. Quest’ultimo viene a sua volta disaggregato in stock detenuto dal pubblico e stock detenuto dalla banca centrale. Le variazioni di quest’ultimo equivalgono a variazioni della base monetaria, o moneta ad alto potenziale. L’aumento di base monetaria rappresenta il signoraggio nominale raccolto dal governo. Chi ritiene che il signoraggio rappresenti una rilevante fonte di risorse per i governi in tempo di pace dovrebbe trarre spunti di riflessione da questo esempio: negli Stati Uniti, la variazione media annua di base monetaria è di circa 30 miliardi di dollari, pari al 2 per cento del gettito prodotto dalle imposte federali. Ad evidenza, i governi non possono fare affidamento sul signoraggio per raccogliere risorse, e ciò a causa dell’inflazione.

Signoraggio reale ed imposta da inflazione
La base monetaria è collegata alla variazione dell’offerta di moneta attraverso il meccanismo del moltiplicatore dei depositi. Torneremo a breve su questo concetto. Per ora, è importante sapere che la quantità di reddito reale che i governi possono raccogliere dal signoraggio è limitata dal tasso d’inflazione. Il reddito reale da signoraggio è il valore reale della moneta appena creata, ed è uguale al reddito nominale da signoraggio diviso per il livello dei prezzi. In altri termini, il reddito reale da signoraggio è uguale al tasso di inflazione moltiplicato per l’offerta reale di moneta. Questa equazione spiega efficacemente perché gli economisti talvolta definiscono il signoraggio come “imposta da inflazione”. In ogni imposta, infatti, il gettito è dato dal prodotto tra aliquota d’imposta e base imponibile. Nel caso dell’imposta da inflazione, la base imponibile è data dall’offerta reale di moneta e l’aliquota d’imposta è data dal tasso d’inflazione. Il governo, quindi, raccoglie l’imposta da inflazione stampando moneta ed utilizzandola per acquistare beni. L’imposta da inflazione è pagata da chiunque detenga moneta, perché l’inflazione erode il potere d’acquisto della medesima. Ad esempio, quando il tasso d’inflazione è al 10 per cento annuo, una persona che detenga banconote per un anno perderà il 10 per cento di potere d’acquisto su quel denaro liquido; ciò equivale ad un’imposta del dieci per cento sul potere d’acquisto, che altro non è che la moneta reale.

Ora, ipotizzate che un governo intenda finanziare il proprio deficit attraverso la stampa di moneta. Pensate che il signoraggio reale aumenti in parallelo? La risposta è no. O almeno, non necessariamente. Aumentando l’offerta di moneta, il governo può aumentare il tasso d’inflazione. Tuttavia, nell’ipotesi di tasso d’interesse reale costante, un aumento dell’inflazione provoca un aumento equivalente del tasso d’interesse nominale, inducendo il pubblico a ridurre la propria domanda reale di moneta. Quindi, il reddito reale da signoraggio aumenta al crescere del tasso d’inflazione solo se l’aumento di quest’ultima eccede il calo nei saldi di moneta reale detenuti dal pubblico. Confusi? Per meglio visualizzare il concetto di imposta da inflazione, pensate all’impianto teorico della curva di Laffer. Avrete un grafico di questo tipo :



Vi risulta più familiare? Per approfondimenti e per comprendere le ipotesi sottostanti al modello, vi rinviamo a questo articolo (di cui è co-autore l’attuale presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke), da cui sono tratti anche gli esempi utilizzati in questo articolo.

Per riassumere, cosa è possibile affermare sul signoraggio di matrice “governativa”, quello derivante dalla stampa di cartamoneta per finanziare acquisti di beni? Sostanzialmente due cose. In primo luogo, che il signoraggio nominale rappresenta una frazione trascurabile delle risorse raccolte attraverso imposizione fiscale. Ma soprattutto che il signoraggio reale, l’unica grandezza rilevante ai fini dell’acquisizione di merci e servizi da parte del governo, è una grandezza che non può essere accresciuta indefinitamente attraverso l’espansione dell’offerta di moneta.

Signoraggio e banche commerciali
Come scritto sopra, il moltiplicatore dei depositi rappresenta il meccanismo attraverso il quale variazioni della base monetaria si trasformano in variazioni dell’offerta di moneta. Tale moltiplicatore è anche lo strumento che consente alle aziende di credito di creare moneta apparentemente dal nulla, attraverso il meccanismo della riserva frazionaria. Ipotizziamo che la banca centrale acquisti buoni del tesoro dalla banca commerciale. Il controvalore della transazione sarà disponibile per la banca commerciale, che potrà utilizzarlo concedendo prestiti. La banca commerciale non potrà tuttavia prestare l’intero importo del deposito, perché è obbligata a mantenere una frazione dell’incremento dei depositi presso la banca centrale sotto forma di riserva obbligatoria. Ipotizzando un coefficiente di riserva obbligatoria del 10 per cento, la banca commerciale (o meglio, l’intero sistema delle banche commerciali) potrà realizzare impieghi pari a 9 volte l’importo originario generato in contropartita con la banca centrale. Se tale importo fosse stato di 1000 euro, il sistema delle banche commerciali si troverà, al termine del processo di aggiustamento, con 9000 euro di impieghi e 10.000 euro di depositi, e questo riassume il processo di creazione della moneta. E’ importante precisare che questo esempio è frutto di semplificazione. Il valore effettivo del moltiplicatore dei depositi e della moneta è influenzato, oltre che dal coefficiente di riserva obbligatoria, anche dal quoziente di drenaggio di circolante (la propensione del pubblico a detenere banconote anziché depositarle presso la propria banca) e dal quoziente di riserve in eccesso, o riserve libere, detenute dal sistema delle banche commerciali a titolo prudenziale. Questi due quozienti impliciti tendono a ridurre il moltiplicatore della moneta, sommandosi al coefficiente di riserva obbligatoria imposto dalla banca centrale per finalità di regolazione dell’offerta di moneta.

Data la descrizione del processo di moltiplicazione dei depositi, è possibile affermare che le banche commerciali godano di un “pasto gratis” rappresentato dalla remunerazione dei prestiti concessi a partire dall’originario deposito in contropartita della banca centrale? Non esattamente. Si ricordi che le banche commerciali ricevono effettivamente una remunerazione sui prestiti, ma devono anche remunerare i depositi che il processo moltiplicativo genera. Nell’esempio precedente, ipotizzando una remunerazione media sugli impieghi pari al 6 per cento ed un costo medio dei depositi del 4 per cento, il sistema beneficia di un differenziale di circa l’1,55 per cento sul totale degli impieghi, il cosiddetto margine di interesse. Tale margine, che rappresenta la remunerazione del rischio d’impresa nell’intermediazione creditizia, entra nella determinazione dell’utile della banca, sul quale vengono prelevate le imposte. Nulla di così scandaloso o illusionistico, con buona pace delle leggende metropolitane sulla creazione di credito da parte delle banche commerciali.

Ogni paese necessita di un meccanismo per espandere la propria offerta di moneta in modo consistente con il tasso di crescita potenziale dell’economia. In linea di principio, non c’è un bisogno insopprimibile di banche private. Le loro funzioni potrebbero essere svolte direttamente dalla banca centrale, raccogliendo depositi da privati ed aziende, pagando interessi su tali depositi, e gestendo il trasferimento di fondi tra conti correnti in quanto parte del più generale sistema di pagamenti. Allo stesso modo, la banca centrale potrebbe fornire l’intera crescita dell’offerta di moneta concedendo prestiti e monetizzando il debito pubblico attraverso l’acquisto di titoli del Tesoro. Sfortunatamente, operare in questo modo equivale a gestire la crescita dell’economia attraverso una burocrazia centralizzata. Sistema di solito malfunzionante, come dimostra l’esperienza storica dell’Unione Sovietica. Le banche private che operano sotto l’incentivo del profitto possono allocare i fondi in modo più efficace ed efficiente, basandosi sulla propria conoscenza dei mercati locali e settoriali, e del rischio di credito<. Le banche hanno quindi l’esigenza di ottenere una remunerazione (sotto forma di margine d’interesse e/o di commissione su servizi) sui prestiti concessi. Diversamente, non sarebbe possibile coprire i costi operativi e non ci sarebbe ragione per restare in affari. Alcune banche fanno un buon lavoro, ed accrescono il proprio capitale assieme all’economia che sostengono. Altre prestano male, diventano insolventi e trascinano con sé i propri investitori-proprietari. In media, la profittabilità del sistema creditizio è comparabile a quella del sistema economico complessivo. Nel lungo periodo, le banche possono evidentemente crescere solo allo stesso passo dell’economia reale. Le banche private agiscono quindi come agenti della banca centrale, utilizzandone il credito ed operando sotto la sua supervisione. Esse sono regolamentate e nessuna può prestare oltre un dato multiplo del proprio capitale a rischio. Gli utili delle banche private dipendono dall’efficienza e dall’efficacia con cui le stesse gestiscono la propria attività.

Il sistema creditizio oggi funziona abbastanza bene, ma l’esperienza recente dimostra che vi sono prassi da correggere. Una è la tendenza a prestare pro-ciclicamente, cioè troppo durante le fasi di espansione dell’economia (e prima di rallentamenti e recessioni, attenuando gli standard di controllo del rischio e selezione dei debitori) e troppo poco durante le fasi iniziali della ripresa. O ancora, si pensi alla crescente propensione a prestare ad istituzioni finanziarie impegnate in attività eminentemente speculative, con scarso o nullo beneficio economico. Anche per questo, le banche centrali sono impegnate nella sfida della regolamentazione per correggere gli eccessi finanziari senza danneggiare l’innovazione finanziaria e la competizione tra intermediari, che sono alla base della crescita complessiva dell’economia.

Le conclusioni
Per quanto premesso ed analizzato, ci pare possibile affermare che il tema del signoraggio rappresenta, soprattutto per insufficiente conoscenza dei meccanismi economici ad esso sottostanti, una sorta di matrice cospirazionista dalla quale origina una florida mitologia. Anche la genuina argomentazione libertaria contro il sistema creditizio a riserva frazionaria non riesce a cogliere l’effetto contro-intuitivo di un modello creditizio a riserva totale: un sistema di pagamenti centralizzato altamente rigido ed incapace di cogliere tempestivamente i segnali di evoluzione della domanda di credito proveniente dagli agenti economici, famiglie ed imprese. Meno libertà e meno crescita sarebbero l’ovvia risultante dell’abolizione del sistema creditizio privato. Ancora: la separazione, formale e sostanziale (cioè perseguita da banchieri centrali realmente autonomi), tra banca centrale e Tesoro rappresenta la migliore garanzia contro il ricorso da parte dei governi all’imposta da inflazione.

Una certa quantità di signoraggio è inerente ad un sistema economico fondato sulla moneta fiduciaria, ma la marginale perdita di benessere collettivo ad esso associata è più che compensata dallo sviluppo che l’attuale ordine monetario garantisce alle economie di mercato. Compito dei liberali è quello di restare vigili riguardo l’indipendenza della banca centrale ed il conseguimento e mantenimento di condizioni di concorrenza sui mercati. Incluso quello, fondamentale, del credito.

14 commenti:

  1. Giovanni Passali05/07/10, 19:14

    Nello sviluppo dell'assunto, comunque interessante, mi pare che manchi un aspetto essenziale.
    Un governo che si finanzi tramite la stampa di moneta farebbe progressivamente diminuire il proprio debito, e quindi il costo del debito (gli interessi).
    Tale risparmio (oggi circa 80 miliardi ogni anno, per l'Italia) diverrebbe nuova liquidità a disposizione dello stato per migliorare i propri servizi o per diminuire le tasse. Quindi si avrebbe una minore richiesta di credito, che calmierebbe il costo del credito.

    Un circolo virtuoso, nel quale tutti avrebbero da guadagnare.

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  2. Un governo che si finanzi tramite la stampa di moneta farebbe progressivamente diminuire il proprio debito
    Se non si evince, si chiama signoraggio da inflazione, ossia è una tassa occulta sui risparmi (e non solo sui redditi) quindi particolarmente infame. L'inflazione inoltre riduce il potere di acquisto dei lavoratori salariati, ossia la categoria più debole, che non può scaricare gli aumenti dei costi sui propri clienti.
    Quindi avremmo un danno enorme a discapito della povera gente, altro che circolo virtuoso!
    Uno che parla in questi termini o lo fa per fare disinformazione oppure è proprio ignorante in materia.
    Se bastasse stampare soldi gratis per far stare meglio i cittadini, sarebbero buoni tutti!
    Invece stampando moneta non si crea valore, si annacqua solo il valore della moneta preesistente.
    Bella porcata! Se ci sono da pagare i servizi tanto vale aumentare le tasse e farle pagare a chi ha più soldi! Non a tutti in maniera indistinta!

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  3. "Un governo che si finanzi tramite la stampa di moneta farebbe progressivamente diminuire il proprio debito, e quindi il costo del debito(gli interessi).
    Tale risparmio (oggi circa 80 miliardi ogni anno, per l'Italia) diverrebbe nuova liquidità a disposizione dello stato per migliorare i propri servizi o per diminuire le tasse. Quindi si avrebbe una minore richiesta di credito, che calmierebbe il costo del credito.

    Un circolo virtuoso, nel quale tutti avrebbero da guadagnare. "
    Sapevo che in questo periodo la coca arrivata è di pessima qualità, il nostro amico ci ha dato la conferma.

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  5. Non hai letto bene l'introduzione Moris, questo articolo non è mio, ed è di dicembre 2007. Ho riportato il link all'articolo originale.

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  6. Ad ogni modo, nel costo medio degli impieghi probabilmente calcola anche i costi di gestione, stipendi, affitti, etc. oltre agli interessi passivi.

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  9. Bilancio 2010

    Intanto a pagina 11 leggiamo
    PROFIT BEFORE TAX 1,044
    Income tax for the period (403)
    Ergo ha pagato 403 milioni di euro di tasse a fronte di un reddito di 1 miliardo, circa il 40%.
    E poi dicono che le banche non pagano tasse..

    A Marzo 2010 aveva
    prestiti effettuati: 563 miliardi
    depositi dei clienti: 592 miliardi

    n.dipendenti 162 mila

    A pag.22 troviamo l'interesse netto per i prestiti, ossia escluse le spese (ma non i costi operativi): 3.98 miliardi
    A pag. 23 troviamo altre entrate: 2.83 miliardi
    A pag. 24 troviamo: costi operativi= 3.88 miliardi
    Bisogna analizzare un po' i dati.. io vado a dormire!!

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  11. Le imposte sul reddito colpiscono i redditi ovvero i guadagni. Se un'impresa è in perdita è chiaro che non paga questo tipo di imposte.
    Che poi bisogna dettagliare il reddito fiscale è diverso da quello contabile (quasi sempre molto più alto) e l'irap colpisce una base imponibile tutta sua, insomma anche società in perdita possono benissimo pagare fior di imposte sul reddito.

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  12. MMST l'inflazione incide più sulle fasce medio-alte o medio-basse ?

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  13. Beh non ci vuol molto per affermare che incide sulle fasce medio-basse.
    Chi ha più soldi ha sempre la possibilità di trasferire il proprio patrimonio all'estero o investirlo in valute più solide.
    E' sempre la gente comune che subisce l'inflazione, e maggiormente quelli a reddito fisso.

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  14. Ne risentono soprattutto quelli a reddito fisso.

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