martedì 30 novembre 2010

Jackson e la second Bank

Pubblica una nota dell'ottimo MMST


Prima della federal reserve gli stati uniti fecero alcune prove per istituire la loro banca centrale senza particolare fortuna.

Il primo tentativo, ricordato da pochi poiché anteriore al riconoscimento ufficiale dell’indipendenza, fu la Bank of North America fondata da Morris con base a Philadelphia nel 1782 ed ebbe tra i promotori anche Franklin. Fu la banca che ottenne la concessione dal governo di emettere moneta e il compito di riordinare le finanze coloniali disastrate dalla svalutazione del continental, l’esperimento durò pochi anni e la concessione venne revocata nel 1785 (rif. Creating the U.S. Dollar Currency Union, 1748-1811: A Quest for Monetary Stability )

Nel 1791 fu il turno della First Bank of US banca voluta dal segretario al tesoro Hamilton e con base anch’essa in Philadelphia durò vent’anni, nel 1811 venne revocata la concessione.

Il terzo infine fu fatto dal presidente Madison nel 1816 con la creazione della Second Bank of US con base sempre a Philadelphia. Secondo Zeigteist addendum la banca fu chiusa nel 1835 l’anno in cui gli Stati Uniti azzerarono il debito pubblico. L’equazione che il filmato fa intendere è immediata; banca centrale=banchieri privati= truffa del debito pubblico, pertanto basta che il popolo si impossessi delle ricchezze trafugate dagli avidi banchieri e voilà saremmo tutti più ricchi con azzeramento del debito pubblico e magari qualche stampata in aggiunta in segno di sovranità ritrovata.

La situazione è diversa, inanzitutto occorre precisare il ruolo delle banche nella nascente nazione americana. Lo sviluppo nei primi decenni dell’800 degli stati del west (meglio del Midwest gli Stati Uniti non erano neanche una trentina), richiedeva credito per i nuovi investimenti agricoli per l’occupazione e la lavorazione di nuove terre. Alla fondazione di nuove città o villaggi pertanto oltre che allo sviluppo di nuove attività vi era come minimo comune denominatore la creazione di almeno una nuova banca o sportello bancario autorizzata dai singoli stati con lo scopo di fornire adeguato credito.

L’espansione generosa del credito facilitata dagli assegni al portatore emessi delle singole banche (che fungevano da moneta privata), sostenne una buona crescita economica ma all’elargizione allegra corrispondeva contemporaneamente un rischio insolvenza. A questo scenario si contrapponeva la Second Bank che con base in Pennsylvania ovvero negli stati dell’est e con la benedizione governativa era sempre solerte quando accettava pagamenti in monete cartacee delle banche occidentali a presentarle immediatamente per riscossione.

In riassunto la Second Bank svolgeva sia la funzione di credito ordinario e pertanto concorrenziale alle altre banche che una funzione di controllo ovvero di limite per il credito delle banche degli stati occidentali e le costringeva a una maggiore prudenza, requisito che invece come dimostrerà successivamente non valeva per se stessa. Questa asimmetria non poteva essere appoggiata dalle banche controllate né poteva essere tollerata dai soggetti che a cascata ne risentivano ovvero le nascenti attività imprenditoriali e agricole finanziate.

Nella traduzione politica americana la Second Bank venne considerata come un’intromissione del governo nelle attività economiche dei singoli stati e pertanto fu proprio dagli stati occidentali che arrivò l’appoggio alla campagna presidenziale rivolto nei confronti di Jackson sul suo programma di abolizione della banca centrale.
La breve storia è descritta da Galbraith.*

Nel 1833 il governo trasferì i suoi depositi dalla Second Bank ad altre banche minori e nel 1836 (non nel 1835), non rinnovò la licenza di emissione di moneta. La Second Bank a causa della sua cattiva gestione non sopravvisse come banca ordinaria e fallì negli anni ’40.
Per affrontare il discorso del debito basta controllare i dati, nella serie storica del ministero del tesoro si nota che il punto di minore indebitamento pubblico gli stati uniti l’hanno centrato nel 1835 quando la banca centrale era ancora presente, pertanto è una bufala il legame tra banca centrale e indebitamento.

La spiegazione del debito è molto meno enigmatica; la guerra anglo-americana ha fatto esplodere il debito pubblico negli anni 10 successivamente l’opera di risanamento finanziario ha portato a una graduale e costante riduzione per poi ricrescere a causa prima delle guerre con il messico negli anni 40, poi per la guerra di secessione negli anni ’60, senza considerare le altre variabili della spesa pubblica.
Dal punto di vista nominale (dato poco significativo perché non prende in considerazione l’inflazione, lo sviluppo e l’allargamento economico degli stati uniti) dal 1836 al 1900 il debito pubblico è salito da 40.000 dollari a oltre 2 miliardi. La fed ancora non esisteva tranne forse che nei pensieri di peter joseph.

*”Storia dell’economia” John Kenneth Galbraith Bur Editore

Questionario di Pascucci


Ho trovato l'altro giorno un questionario abbastanza capzioso su wallstreetitalia postato dal sig. Pascucci
Lo riporto:






Problema

• Tutti i politici eletti alla guida della Nazione hanno sempre indebitato lo Stato chiedendo denaro in prestito ad una ristretta cerchia di banchieri privati.

• Questi banchieri internazionali creano il denaro dal nulla e senza nessuna contropartita, semplicemente stampandolo.

• Gran parte delle tasse versate dal cittadino servono a pagare gli interessi su quel debito inestinguibile, eterno, costituito da carta straccia.

Domande:

1. Perché lo Stato non si stampa da solo i soldi ?
2. Perché conia le monete metalliche ma non stampa le banconote?
3. Perché emette Obbligazioni invece che stampare moneta esente da interesse ?
4. Perché, dal 10 AGO 1893, l'elenco dei soci di Bankitalia S.p.A. è stato reso disponibile solo il 20 SET 2005 ?
5. Perché il Senato della Repubblica nei suoi verbali riporta «omissis» quando arriva ad elencare tali partecipanti ?
6. La Banca ha il monopolio della creazione ed emissione della moneta. Essa crea 100, presta 100 e pretende una restituzione di 100 + 5 di interesse: lo Stato dove prende quel +5 [che non esiste]?


Vediamo di rispondere al sig. Pascucci, visto che sono domande che ripete da anni senza darsi pace e soprattutto trovare delle risposte che gli piacciano.

1. Perché lo Stato non si stampa da solo i soldi ?
La BCE è un organo della comunità europea a cui lo Stato ha delegato la politica monetaria
Cito da un ottimo blog:
Per il principio della separazione dei poteri. Delegare l'emissione a un'autorità terza indipendente è l'unico modo possibile per evitare che la moneta sia usata a scopi politici e non anticiclici. La banca centrale non è una “spa privata”, la banca centrale è un ente statale indipendente dal Governo, esattamente come la Magistratura. La separazione dei poteri è il principio cardine dello stato democratico.

2. Perché conia le monete metalliche ma non stampa le banconote?

Osservato che
a) per alcune monete il valore intrinseco supera quello nominale
b) sarebbe oltremodo costoso produrle a migliaia di km di distanza
c) costituiscono una piccola percentuale del valore monetario circolante, ossia sono di importo irrisorio
d) le monete vengono usate per gli scambi in modo limitato

Sono quindi più controllabili e possono non essere emesse dall'autorità monetaria.
 Si è adottata la scelta di farle coniare ed emettere in modo definitivo dalle BCN in modo da eliminare i costi di trasporto
Ma davvero il sig. Pascucci è così preoccupato per il fatto che lo Stato conii le monetine? Oppure si cruccia del fatto che non stampi gratis le banconote?
Dalla domanda successiva direi "la seconda" che ho detto...

3. Perché emette Obbligazioni invece che stampare moneta esente da interesse?
L'interesse incassato dalle banche centrali nell'emissione della moneta non è un problema visto che è girato interamente agli Stati membri.
Ma se lo Stato "stampasse moneta" non a debito cosa succederebbe?
Stampare denaro non crea valore. Sarebbe carta igienica. Una banconota stampata gratis vale appunto nulla. Curioso vero? Uno Stato potrebbe, con una dittatura, imporne la circolazione al proprio interno, ma per gli altri Stati, inesorabilmente, rimarrebbe carta igienica.
Risultato: non varrebbe nulla neanche al proprio interno. Inutile citare la parola "iperinflazione".

Cosa da valore alla moneta? il lavoro che è fatto per poterla ottenere. Nel caso della moneta emessa dalla banca centrale in cambio di titoli di Stato, il lavoro che i cittadini faranno, da cui avranno un reddito e sul quale pagheranno le tasse per consentire allo Stato, oltre a fornire servizi come istruzione, sicurezza, sanità etc., di ripagare i titoli emessi.


4. Perché, dal 10 AGO 1893, l'elenco dei soci di Bankitalia S.p.A. è stato reso disponibile solo il 20 SET 2005 ?
Cazzate. Basta dire che per trovarlo c'è voluto il "duro lavoro" di un giornalista di Famiglia cristiana, che notoriamente non è che sia un giornale di economia o di investigazione...
Ad ogni modo si legga questa nota


5. Perché il Senato della Repubblica nei suoi verbali riporta «omissis» quando arriva ad elencare tali partecipanti ?
Gli omissis si mettono per molteplici motivi, bisogna vedere di quali verbali parli. Ad ogni modo, non si capisce il senso della domanda visto che l'elenco dei partecipanti è ben noto.

6. La Banca ha il monopolio della creazione ed emissione della moneta. Essa crea 100, presta 100 e pretende una restituzione di 100 + 5 di interesse: lo Stato dove prende quel +5 [che non esiste]?

Lo Stato emette titoli all'asta. Ognuno può comprarli o meno al tasso che decide lo Stato. Se non li compra nessuno, sarà un problema per lo Stato se aumentare il tasso o agire diversamente.Le banche centrali redistribuiscono interamente gli utili agli Stati, dunque i 5 sono presi dalla moneta circolante e tornano, una volta redistribuiti, a far parte della moneta circolante.
Ossia l'effetto complessivo di acquisto/restituzione alla scadenza di un titolo è nullo. Non risulta un ammanco di 5 come  artificialmente Pascucci vuole far figurare.


E'  inoltre falso che pretende una restituzione di 100+5. E' più esatto dire che compra titoli al prezzo di mercato, oppure li accetta come garanzia per effettuare finanziamenti alle banche private.

lunedì 29 novembre 2010

La lezione del signoraggio di Nicolò Giuseppe Bellia

Pubblico una nota di yazid, che tratta uno dei miti più cari ai signoraggisti, il reddito di cittadinanza.


Tra i diversi personaggi che si improvvisano economisti, si trova la figura del signor Nicolò Giuseppe Bellia, definito dai suoi ammiratori come "professore e matematico", nonostante a malapena sia riuscito a terminare il liceo e avere creato la sua fama su una serie di malfatte scopiazzature (n.d.r. es. metodo di Bézout, inoltre si legga, ad esempio, questa discussione, e per chi vuole capirne di più consiglio questa nota [*])

Ma non è di matematica che su questa pagina si parla. Il "professore" infatti, tra le altre cose, si improvvisa esperto d'economia, pubblicando "lezioni" rivolte a chi casca, come una pera dall'albero, attratta dalla gravità, attratto da ogni tipo di bufala.
Leggendo le sue "lezioni", farcite dal solito ciarpame complottista, emerge come idea di fondo e panacea di tutti di i mali, il cosiddetto "Reddito di Cittadinanza Universale", ossia l'attribuzione di un reddito "incondizionato, dalla nascita alla morte, in misura sufficiente per l’acquisto del necessario per una dignitosa sopravvivenza".
Qual è la misura di questo reddito, per l'esimio professore?
"è prevedibile inizialmente intorno ai 500 euro mensili, pro capite"
.

In sintesi, una famiglia composta da moglie marito e due figli, riceverebbe mensilmente, 2000 euro, per il solo motivo d'esistere. Il "professore" si spinge oltre, prevedendo
"l'abolizione di tutti i precedenti Prelievi Statali – fiscali, previdenziali e quant’altro – che si scaricavano integralmente sui prezzi.
Con ciò si avrà il dimezzamento dei costi di produzione e quindi dei prezzi con conseguente raddoppio del potere d’acquisto del denaro".

Tutto ciò tramite il prelievo forzoso (l'8%, chissa perchè proprio tale percentuale) dei depositi in conto corrente, accompagnati da sofismi meno comprensibili ai più (tra cui il sottoscritto).
In questa nostra analisi, si eviterà di trattare la seconda parte del colpo di genio del Bellia, ossia l'abolizione di tutti i prelievi statali, sostituiti da un prelievo forzoso sulla liquidità dei conti correnti (a dirla tutta il professore auspica, sempre tramite argomentazioni capziose e fallaci, la completa sostituzione della cartamoneta con la moneta elettronica, auspicio probabilmente anche accettabile, ma non certo per le argomentazione riprodotte dal Bellia).
Approfondiremo in questa nota il cosiddetto "Reddito di Cittadinanza".
Senza avere alcun bisogno di essere né matematici, nè economisti, si potrà ben capire che, una famiglia media che riceve un sussidio di 2000 euro mensili (e qui dovrebbe partire il Jingle "vinci per la vita, Win for Life.."),  avrà bisogno di un maggiore stimolo per lavorare, facendo quindi aumentare i costi di  produzione, annullando  l'effetto del reddito di cittadinanza sulla capacità di acquisto risultante.
Fin troppo facile smontare l'esimio matematico, ci riuscirebbe un bimbo di tre anni. Vorrei porre l'attenzione sulla parola da me usata nel definire il reddito di cittadinanza, ossia la parola sussidio. Data infatti l'assoluta insussistenza delle argomentazioni del Bellia, vorrei dimostrare la fallacia di ogni aspetto delle sue argomentazioni partendo dai meccanismi dei salari e delll'uso dei sussidi da un punto di vista Microeconomico e da "Labour Economist".

Quest'anno, il Nobel per l'Economia, è stato assegnato a tre economisti che si occupano proprio del mercato del lavoro Diamond, Mortensen e Pissarides, che hanno messo in luce come le politiche economiche possano influire sull'occupazione e, tra queste, i sussidi di disoccupazione siano un ostacolo all'aumento dell'occupazione.

In Macroeconomia il salario di riserva è il salario per il quale per un lavoratore è indifferente se lavorare o meno. Se il salario a lui offerto sarà superiore a tale soglia, egli accetterà il lavoro mentre sotto tale soglia troverà non conveniente lavorare. La presenza di sussidi non farà altro che innalzare l'asticella, creando distorsioni al mercato del lavoro (per chi ha un'infarinatura economica: i sussidi traslano la curva di offerta di lavoro verso l'alto, facendo aumentare il suddetto salario di riserva e la disoccupazione).

In Microeconomia, l'agente massimizza la sua utilità, che è data dall'utilità del suo reddito (salario, sussidio) meno la disutilità dell'effort da lui espresso (per effort si intende, "alla meglio", impegno, tempo utilizzato, fatica).
L'utilità marginale dei redditi è decrescente, ossia l'utilità che si ricava dalle prime unità di euro (che servono a comprare beni primari) è molto superiore dell'utilità degli euro ulteriori via via che essi aumentano (che servono per beni via via meno indispensabili). Quindi, ancora una volta sarà intuitivo immaginare come un salario di cittadinanza che copra tutte le esigenze primarie e oltre di un agente renda difficile la ricerca di ulteriore reddito che riesca a coprire la disutilità dell'effort (impegno).

Ora, i sussidi sono, in generale, limitati in un arco di tempo breve e soggetti a restrinzioni; in molti casi sono uno strumento socialmente indispensabile, nonostante rallentino l'occupazione.

Bisogna spingersi all'assurdo per anche solo immaginare il totale collasso di tutti i mercati (finanziario, reale, del lavoro) che potrebbe comportare anche solo avvicinarsi alle idee dei signori che si spacciano per guru rivoluzionari che vogliono risolvere i problemi di questo mondo.

Addendum
Mi si è fatto notare che, Biella, prima di convertirsi al signoraggismo e alla “sovranità monetaria” immaginava, nel suo lavoro un visionario, kubrickiano, modello, che prevedeva come unica forma di tassazione un prelievo dell’8%, periodico,sulla base del circolante suddiviso tra la popolazione (quindi dai C/C), con circolante totalmente elettronico.
In questo “big brother” orwelliano il prelievo servirebbe a coprire la spesa e ad assegnare un reddito di cittadinanza a tutti.
Sui riflessi derivanti dal “reddito di cittadinanza” di tale portata mi sono già espresso.
Prima di tutto, dobbiamo capire cosa si tassa. Da quel che si evince nei testi propostimi, la tassazione sarebbe esclusivamente sul patrimonio, anzi, su una parte di patrimonio, quella detenuta in forma di liquidità (per quanto elettronica) mentre non intaccherebbe assolutamente i patrimoni di diverso tipo (materiali preziosi, immobili, valori mobiliari).

Questo modello di tassazione cozza con qualunque principio tributario (si tassa esclusivamente il risparmio, proprio il contrario di quanto sosteneva Einaudi (si leggano le classificazioni di reddito a scopo tributario su wikipedia) che proponeva la tassazione esclusiva del consumo). La Costituzione recita “ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme” , mentre questo modello non fa altro che scoraggiare il risparmio, specie quello più popolare, quello meno propenso a investimento.

L’effetto primo di questo modello sarebbe l’insorgere di una moneta, o di diverse monete, parallele. Chiunque infatti, non cederebbe nulla di materiale per una somma in denaro su cui verrà decurtato un importo (o comunque, scaricherebbe l’importo sul prezzo di vendita, proprio quello che Biella si propone di evitare, non sapendo che la scienza delle finanze dimostra come la traslazione della tassazione è possibile solo se la tassa è sulla produzione marginale e non sul profitto (Elementi di scienze delle finanze, Artoni)), si userebbero dei materiali che mantengono il loro valore come, ad esempio, oro e argento (oppure valuta estera).
Qualunque firma di impiego del risparmio (prestiti, obbligazioni, azioni) non sarebbe tassata, mentre sarebbero tassati coloro i quali posseggono materialmente la liquidità, con un nonsenso di tassare un debito.
Per mantenere questo sistema si dovrebbe vietare ogni tipo di scambio all’estero, perché chiunque comprerebbe all’estero anche fittiziamente, solo per esportare valuta ed eludere la tassazione. Si dovrebbero usare sistemi molto simili a quelli sovietici, o, più vicini a questo modello, quelli della ex-Jugoslavia Titina, dove vi era una parvenza di libero mercato .
Inutile sottolineare inoltre l’assurdità di tassare più volte la stessa grandezza, creando un lento esproprio per garantire un reddito di cittadinanza a tutti, si riproporrebbero le distorsioni del socialismo reale senza neanche la coercizione al lavoro che riesca a mantenere un livello minimo di produzione industriale


[*]
La teoria di Galois prende forma dal teorema di Abel-Ruffini, che afferma: "Non esiste nessuna formula per le radici di una generica equazione polinomiale di quinto grado (o superiore) in funzione dei coefficienti del polinomio, usando solo le normali operazioni al- gebriche (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divi- sione) e l'applicazione di radicali (radici quadrate, radici cubiche, etc.)".

domenica 28 novembre 2010

Signoraggismo e Nazismo: la moneta di Hitler

Una nota di MMST
Cosa sono i mefo? Sono meglio ricordati come la moneta di Hitler dal quale nasce la nostra leggenda.

E’ opinione diffusa tra i signoraggisti che uno degli artefici della sovranità monetaria fu proprio il fuhrer che grazie al suo tentativo di sovranità monetaria popolare riuscì a rilanciare economicamente la germania, traghettandola da un’economia allo sfascio a una potenza industriale indebitare nessuno e per questo fu fatto fuori dai banchieri internazionali (modo per dire gli ebrei) HOW A BANKRUPT GERMANY SOLVED ITS INFRASTRUCTURE PROBLEMS
Una matrice chiaramente nazista dato che indipendentemente da monete con o senza debito trascurare in questo modo la storia ha solo finalità o negazioniste o riabilitative del regime nazionalsocialista. Anche ammettendo sovranità monetaria e complotti annessi, rimane l’occupazione della Cecoslovacchia, l’invasione della Polonia, e la successiva conquista di mezza europa un tantino contraddizione con la teoria del nazismo vittima della guerra.
Ma entrando nello specifico cosa si può dire? Che furono dei debiti di stato fruttiferi di interesse.
Beh proprio dello stato non furono infatti non comparivano in bilancio Selected cliometric studies on German economic history , Hitler's Money perché non erano emessi dal tesoro, ma dalla Metallurgische Forschungsgesellschaft, m.b.H. una società ombra voluta dal governo nazista che usava questi bond per le transazioni nelle commesse degli armamenti.
Appena saliti al potere i nazisti proposero un vasto programma di opere pubbliche usando come pagamento dei pagherò emessi dal governo. Queste cambiali che ricevevano spesso il nome dei progetti che finanziavano venivano incassate dai fornitori nelle banche che le presentavano alla reichsbank per lo sconto. Pertanto una maggiore politica di spese pubblica poteva avere come ripercussione una eccessiva dipendenza della politica monetaria da quella fiscale (ossia un finanziamento indiretto della banca centrale a ogni progetto di spesa del governo) pertanto per dare un'apparenza di separazione la reisbank aveva nello statuto precisi limiti di quantità riscontabili dei bond del tesoro, di conseguenza il valore di questi pagherò rischiava di svalutarsi nel caso di emissioni sopra il limite dato che i creditori non potevano riscontarli e pertanto il governo doveva impegnarsi a trovare i fondi per saldare i debiti preesistenti, per mantenere l’appetibliità dei titoli di nuova emissione.
I mefo, non essendo in apparenza emessi dal tesoro, non rientravano in questi vincoli e venivano tranquillamente accettati alla stregua di una moneta qualsiasi. In realtà vi fu un ulteriore motivo. Il governo tedesco era ancora soggetto al divieto di riarmo stabilito dai trattati di Versailles e deficit fiscali elevati potevano dare un’ulteriore conferma che la Germania stava allegramente violando questa imposizione.
Pertanto come si può chiamare questo espediente? Finanza creativa, falso in bilancio? A ognuno la propria risposta, gli storici non furono in grado di quantificare precisamente l’ammontare della spesa pubblica in armamenti proprio perché nei dati ufficiali del tesoro le transazioni pagate tramite questi strumenti non risultavano da nessuna parte e pertanto hanno abbozzato stime divergenti.
Ma possiamo concludere che se per sovranità monetaria si intende totale assenza di trasparenza, di questa conquista ne possiamo davvero fare a meno.

sabato 27 novembre 2010

Margrit Kennedy e una storiella sulla moneta

In molti siti di chi crede al signoraggio come complotto ho trovato citata una storiella abbastanza curiosa, inventata da una certa Margrit Kennedy, di cui vi ho linkato la recensione di chi pubblica il suo libro e la definisce un "architetto con Master in pianificazione urbana e regionale e un dottorato in affari pubblici e internazionali. ".
Dappertutto però, chi cita la storiella la definisce una "nota economista", ma su questo non intendo porre un particolare accento, perché nemmeno io sono un economista.
Tuttavia non mi spaccio per tale e tanto meno gradisco vedere attribuiti dei titoli inesistenti ad autori di storielle solo con lo scopo di darvi peso.
Riporto pari pari quanto ho letto in giro:

Margrit Kennedy, la nota economista tedesca promotrice delle monete locali in Germania, è solita raccontare questa storiella, che ciascuno di noi potrebbe vivere domattina:
Una donna va in un hotel e tira fuori un biglietto da 100 euro per prenotare una camera per la notte. Con quella banconota l’albergatore paga il panettiere, la cui moglie esce e va a comprarsi un vestito, il sarto porta la macchina a riparare, e il meccanico, sempre con la stessa banconota, paga un venditore ambulante di cellulari, che poi va in albergo a prendere una camera per la notte e paga con quella banconota da 100 euro. Ma proprio in quel momento arriva la donna dell’inizio della storia, che dicendo di non volere più la camera, si riprende i 100 euro e la banconota torna quindi nelle sue mani.
Appena esce dall’albergo, con l’accendino le da fuoco, perchè si accorge che era falsa!
La morale della storia è che per mezzo di una sola banconota da 100 euro si sono scambiati in un solo giorno almeno un valore di 500 euro di beni e servizi. Con una sola banconota, peraltro falsa. Traiamo da questa storia qualche conclusione: il denaro non ha un valore intrinseco, infatti i soldi erano falsi; il valore che attribuiamo al denaro è dato dalla fiducia che riponiamo in esso; essendo il denaro una misura di valore, misura tanta più ricchezza scambiata, tanto più velocemente circola.

Leggiamo le considerazioni finali:
il denaro non ha un valore intrinseco, infatti i soldi erano falsi
Prima osservazione
Questa è inesatta. E' vero che il denaro non ha un valore intrinseco, infatti del denaro quello che conta è il valore nominale, non il valore intrinseco (che sarebbe il suo costo di produzione).
Da un dizionario online cito testualmente
Potere liberatorio della moneta
Attitudine conferita dalla legge alla moneta (v.) emessa dalla Banca centrale (v.) di estinguere qualunque debito che il detentore di tale bene vanti nei confronti di un terzo, tramite la sua cessione e la sua accettazione come mezzo di pagamento. La moneta offerta dal debitore non può essere rifiutata dal creditore per cui si può affermare che essa ha potere liberatorio illimitato.
Il potere liberatorio, peraltro imposto dalla legge (il cosiddetto corso forzoso, tanto inviso a i liberisti della moneta), è quello che da valore alla moneta.
E dunque questo il motivo, e non il fatto che la banconota da 100 fosse falsa. Quella era una contraffazione di una banconota a corso forzoso, non aveva valore ma ha tratto in inganno tutti quelli che l'hanno posseduta.

Seconda osservazione, la donna che brucia quella banconota, evidentemente l'aveva avuta in cambio di qualcosa, es. il suo lavoro o altri suoi beni materiali.
Alla fine della giostra la donna in questione ha quindi una perdita netta di 100 euro, mentre il falsario che l'ha emessa, magari rifilandola alla signora, ha avuto un utile netto di 100 euro, strano che nessuno lo abbia fatto notare...

il valore che attribuiamo al denaro è dato dalla fiducia che riponiamo in esso;
Anche questa è inesatta. Nell'ambito di uno stesso Stato, il valore del denaro è attribuito dal corso forzoso. Al di fuori di quello Stato, invece, può subentrare un discorso sulla fiducia.


Ma a parte l'evidenziare gli errori delle conclusioni a cui perviene la signora Kennedy, ne voglio fare io alcune.

Punto 1
Prima dell'arrivo della donna all'albergo, nel paese non c'è moneta ma ci sono debiti.
Curiosa circostanza, visto che molti signoraggisti attribuiscono all'emissione della moneta la causa del debito pubblico e privato.
In realtà ho spiegato in più circostanze come i debiti siano una circostanza assolutamente normale in una qualsiasi società anche minimamente evoluta. Dove ci sono debiti ci sono anche crediti ovviamente.


Punto 2
Come emette moneta la banca centrale? comprando (il termine è monetizzando) debiti esistenti. In una situazione come questa cosa sarebbe successo se fosse intervenuta la banca centrale? Avrebbe comprato il debito di uno dei partecipanti alla giostra (es. dell'albergatore, acquistandolo dal panettiere), la cui moglie avrebbe comprato un vestito etc. sino a fare arrivare i 100 euro all'albergatore, che avrebbe quindi potuto saldare il suo debito con la banca centrale. Alla fine della giostra alla banca centrale sarebbero tornati indietro i propri 100 euro.
Bello vero? infatti è proprio così che la banca centrale emette moneta. In realtà dai debiti maturano anche degli interessi (in genere frutti), che vengono tuttavia redistribuiti alla comunità.

Quindi qual è la vera conclusione a cui possiamo pervenire?
Che il modo in cui la banca centrale emette moneta sembra proprio efficiente, visto che i persino i signoraggisti quando vogliono fare degli esempi in cui nessuno si appropria del valore della moneta (stampandola gratis e usandola per propri fini in stile Zimbabwe), non riescono a fare di meglio che copiare lo stesso meccanismo di emissione adottato da tutte le banche centrali.
Salvo, in perfetto stile signoraggista, inventarsi delle banconote"false", dire che non hanno valore "intrinseco" perché sono false, inventarsi donne che bruciano allegramente banconote da 100 euro senza imprecare ( mi ricorda un ragazzo non molto sveglio visto su youtube) e lasciando intendere alla fine che la vera salvezza stava proprio in quella banconota "falsa".
Il risultato è molto comico, visto che in realtà stanno dicendo che il sistema di emissione della moneta funziona bene esattamente com'è. Ma dato che tale sistema non lo conoscono, non se ne accorgono neanche.




venerdì 19 novembre 2010

Presunta violazione ex art. 3 di bankitalia


In questi giorni ho fatto alcune indagini su una presunta violazione dell'ex art. 3 di bankitalia, argomento su cui sono interrogato qualche mese fa e su cui non avevo le idee molto chiare.





Di cosa si tratta in sostanza?
Con un decreto del 12 dicembre 2006,
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
(bla bla bla)

Sulla proposta dei Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e delle finanze, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia;
Decreta:
È approvato il nuovo statuto della Banca d'Italia nel testo allegato al presente decreto.
(Nota: per chi non lo sapesse, lo statuto della Banca d'Italia è approvato per legge, non essendo la stessa una società privata)

In particolare, l'art.3 è cambiato in
Il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro ed è suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna, la cui titolarità è disciplinata dalla legge.
Il trasferimento delle quote avviene, su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e della equilibrata distribuzione delle quote.

Mentre prima era così:
Il capitale della Banca d’Italia è di 156.000 euro rappresentato da quote di partecipazione di 0,52 euro ciascuna (4). Le dette quote sono nominative e non possono essere possedute se non da:

a) Casse di risparmio;
b) Istituti di credito di diritto pubblico e Banche di interesse nazionale;
c) Società per azioni esercenti attività bancaria risultanti dalle operazioni
di cui all’ art. 1 del decreto legislativo 20.11.1990, n. 356;
d) Istituti di previdenza;
e) Istituti di assicurazione.

Le quote di partecipazione possono essere cedute, previo consenso del Consiglio superiore, solamente da uno ad altro ente compreso nelle categorie indicate nel comma precedente.
In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici.
La parte "incriminata", ossia oggetto della mia indagine, è appunto quella in grassetto.

La prima cosa che mi sono chiesto è cosa fossero le "Banche di interesse nazionale".
Da wiki ho trovato:
Le Banche di Interesse Nazionale nacquero nel 1936 in Italia con la promulgazione della cosiddetta Legge Bancaria che riformava il sistema creditizio.
La legge mirava all'attuazione di quel processo che il capo del governo Mussolini aveva definito Autarchia nel rivoluzionare l'esercizio del credito qualificato come funzione di "interesse pubblico" e del sistema bancario come "difesa del risparmio".
Pertanto con la suddetta legge si sottopongono entrambe le attività alla disciplina del diritto pubblico.
Le banche che furono trasformate da questa legge in Banche di Interesse Nazionale furono la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e il Banco di Roma: la fisionomia di questi istituti era così quella di banche di credito ordinario che non potevano tuttavia fare più prestiti all'industria né essere proprietarie di valori industriali.
In sostanza erano delle banche nazionalizzate ed in particolare la Banca Commerciale, il Credito Italiano ed il Banco di Roma.

Poi ho indagato su cosa fossero le banche del punto c) ossia quelle derivanti dalle operazioni di cui all’ art. 1 del decreto legislativo 20.11.1990 (riforma Amato-Carli), n. 356 che è consultabile qui
Questo decreto aveva l'obiettivo di determinare la fuoriuscita dello Stato dalla diretta gestione delle banche e quindi favorire il raggiungimento di una mobilità delle risorse investite nelle banche pubbliche. Allo scopo ha incentivato la trasformazione delle banche pubbliche in Società per Azioni a controllo pubblico e le operazioni di concentrazioni fra banche. In particolare sono state trasformate in società per azioni le Casse di risparmio, le Banche del Monte, gli Istituti di credito di diritto pubblico e degli Istituti di Credito speciale.

In particolare, è interessante leggere l'art.19 di tale decreto:
Art. 19. Permanenza del controllo (4)
1. Nelle società bancarie risultanti dalle operazioni di cui all’art.1, la maggioranza delle azioni con diritto di voto nell’assemblea ordinaria deve appartenere a enti pubblici o società finanziarie o bancarie nelle quali la maggioranza delle azioni con diritto di voto nell’assemblea ordinaria appartenga ad uno o più enti pubblici.
2. La previsione del comma precedente è richiamata negli statuti i quali indicano se si applica la disciplina di cui ai successivi commi 3 e 4 ovvero quella dell’art. 20.
3. La cessione di azioni e ogni altra operazione che determini per gli enti pubblici la perdita, anche temporanea, del diritto di voto relativo alle azioni di società bancarie risultanti dalle operazioni di cui all’art. 1, nonchè delle azioni delle altre società finanziarie o bancarie indicate nel comma 1 del presente articolo devono essere autorizzate dal Ministro del tesoro. L’operazione si intende autorizzata trascorsi novanta giorni dalla presentazione della relativa istanza. Il termine è sospeso qualora siano richiesti ulteriori dati e notizie integrativi.
4. Non può essere esercitato il diritto di voto relativo alle azioni acquisite in violazione di quanto previsto dal presente articolo. Il Ministro del tesoro, sentita la Banca d’Italia, può impugnare a norma dell’art. 2377 del codice civile la deliberazione assembleare assunta con il voto determinante di coloro che non potevano esercitare il relativo diritto; il Ministro del tesoro può disporre il riscatto delle azioni trasferite senza le prescritte autorizzazioni, alle condizioni previste dal contratto di cessione entro i limiti consentiti dalle leggi di bilancio.

Quindi si può notare che, pure privatizzando tali banche, le si obbligava comunque a chiedere l'autorizzazione al Ministro del tesoro per qualsiasi cessione che comportasse una perdita del diritto di voto relativo alle azioni di società bancarie.

In sintesi, le aziende bancarie furono scoporate, e conferite per legge a Enti conferenti (con la forma di Fondazioni) creati unilateralmente, e a questi fu attribuito il computo di proseguire le originarie funzioni non creditizie e di utilità sociale, che da sempre avevano caratterizzato gli Istituti di diritto pubblico che gestivano le banche e di conservare, obbligatoriamente, per legge, il controllo pubblico sulle Banche scorporate con riguardo alla partecipazione.

Il controllo “pubblico” esercitato dalle Fondazioni diventava, in tal modo, l’assetto proprietario prevalente nel sistema bancario italiano.

Con la riforma Amato-Carli ci si è dunque trovati di fronte a due soggetti distinti: la Banca S.p.A., che proseguendo la funzione creditizia dell’ente originario,non aveva più le finalità sociali di assistenza e beneficenza; e la Fondazione bancaria o “Ente conferente”, di natura pubblica, che diventava uno strumento di conservazione del controllo pubblico sulle banche, con scopi istituzionali di interesse pubblico e di utilità sociale nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte e della sanità e con un ruolo attivo, dunque, nel settore “non profit”.


Tuttavia la legge Amato non conseguì i risultati sperati, in quanto le Fondazioni solo marginalmente si impegnavano nei compiti "istituzionali", preferendo invece continuare a fare credito.


Al fine di separare in modo più netto le Banche S.p.A. dalle Fondazioni, e fissare, per queste ultime, un regime civilistico, si rendeva, pertanto, necessario un nuovo intervento, attuato con legge delega 23 dicembre 1998 n.461 “Delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti, di cui all’art.11, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n.356 e della disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria”, alla quale sono seguiti il D.lgs. 17 maggio 1999, n.153 e l’Atto di indirizzo del Ministro del Tesoro Amato del 5 agosto 1999.

Tale riforma riguardava tutte le fondazioni che controllavano le banche e prevedeva che questi divenissero enti di diritto privato e dismettessero le partecipazioni di controllo delle Banche.
Infatti leggiamo, dall'art. 2.2.a
a) convertire, previa deliberazione dell'assemblea della società bancaria
partecipata, le azioni ordinarie, dagli stessi detenute direttamente o
indirettamente a seguito dei conferimenti di cui al decreto legislativo 20
novembre 1990, n. 356, e successive modificazioni, in azioni delle stesse
società privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale
sociale e senza diritto di voto nell'assemblea ordinaria. Le azioni con voto
limitato non possono superare la metà del capitale sociale
;
Le azioni ordinarie, per chi non lo sapesse, danno diritto di voto nelle assemblee ordinarie, mentre quelle privilegiate hanno precedenza nella ripartizione degli utili, ma non hanno diritto di voto nelle assemblee ordinarie, bensì solo nelle straordinarie.
Quindi tale articolo di legge stabilisce che le fondazioni non dovevano più avere il controllo delle banche ad esse conferite.

Questo fa si che per legge le fondazioni hanno dovuto cedere il controllo delle banche che a loro volta possedevano quote di bankitalia.
Leggiamo l'art. 7 della stessa legge:
Il regime fiscale di trasferimento delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera m), viene determinato dal Governo secondo criteri di neutralità fiscale, con decreto legislativo da emanare, sentite le competenti commissioni parlamentari, entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, tenendo conto, per gli enti di cui alla presente legge, anche del patrimonio, dell'ambito territoriale di operatività nonché della parte di reddito che essi prevedono di devolvere ai fini statutari.
Quindi il governo è ben conscio che le quote di bankitalia non saranno più controllate dalle fondazioni, infatti si preoccupa di descrivere il regime fiscale con cui deve avvenire il trasferimento.


Concludendo, se pure dovessimo accertare che, nel 2006, quando è stato cambiato, sempre con un decreto legislativo, l'art.3 di bankitalia, questo risultava violato, è anche vero che è stato lo Stato stesso a disporne (per legge) la violazione, obbligando le fondazioni, che controllavano le banche che detenevano quote di bankitalia, a dismetterne le quote perdendone il controllo.

Nessuna colpa si può quindi imputare alle fondazioni (e tanto meno alle banche ad esse conferite) che hanno semplicemente adempiuto al proprio dovere. Avrebbe dovuto essere lo Stato, nel promulgare la legge del 1998, a cambiare contestualmente lo statuto di bankitalia.
Possiamo invece affermare che con la modifica dell'art.3 effettuata nel 2006 lo Stato abbia semplicemente regolarizzato la situazione di irregolarità che esso stesso aveva instaurato con la legge del 1998.

Sull'intermediazione creditizia e sulla trasformazione delle scadenze



Una nota di Yazid


Nelle discussioni di questi giorni alcuni utenti hanno espresso delle idee assai distorte sulla natura dell’istituzione bancaria. Con questa nota si vuol fare chiarezza su alcuni aspetti gestionali che ritenevo scontati, ma che, ho appurato, non essere nel bagaglio di conoscenze di tutti.

La Banca in quanto attore principale del circuito indiretto di trasferimento di risorse finanziarie, tipicamente produce una trasformazione della scadenze, cioè si procura risorse finanziarie mediante una struttura di indebitamento per la gran parte configurata da passività a vista e impiega tali risorse per il finanziamento di fabbisogno finanziari di varia durata tra il medio e il lungo termine.

Assumendo come riferimento la scadenza contrattuale formale delle attività e delle passività, si riscontra in concreto che la scadenza media ponderata delle attività finanziarie è notevolmente superiore a quelle del passivo. Quindi nelle configurazioni strutturate dello stato patrimoniale, mediamente le scadenze del passivo precedono quelle dell’attivo.
La trasformazione delle scadenze è intrinseca nella funzione economica e nell’economicità dell’intermediazione creditizia , poiché da un lato essa corrisponde alle preferenze rispettive dei prenditori e dei datori di fondi e dall’altro - nella condizione probabilisticamente prevalente di struttura ascendente della curva dei tassi di interesse per scadenze – essa spiega in parte i motivi per cui il tasso attivo medio ponderato è superiore di quello passivo (“Premio per la liquidità”).

Inoltre il processo di intermediazione creditizia non solo trasforma le scadenze ma tipicamente realizza una condizione di trasformazione dei rischi. Questo singolare aspetto caratterizzante si coglie nella differenza che la circostanza che la singola attività finanziaria (finanziamenti concessi) comporta una perdita attesa (probabilita di insolvenza*percentuale di perdita in caso di insolvenza, EL(expected loss)=EAD(exposure at default)*PD(probability of default)*LGDR(loss given default rate) ), superiore a quella tendenzialmente nulla, riferibile all’aggregato complessivo delle passività. In altri termini, la banca assume rischi senza trasferirli ai propri finanziatori a titolo di credito (questa funzione è stata disattesa con la cartolarizzazione dei mutui subprime, origine della crisi finanziaria attuale).
Quindi al premio di liquidità già spiegato, va aggiunto il “premio al rischio” cioè un componente sufficiente a coprire e remunerare il rischio di perdita attesa (già visto).

Questi due elementi spiegano lo spread, il divario esistente tra i tassi attivi e quelli passivi.
La capacità della banca di trasformare il rischio dipende da tre fattori:
- la capacità della banca di valutare, selezionare, prezzare, finanziare e monitorare i rischi;
- l’opportunità o capacità di diversificare e comporre portafogli crediti:
- l’ancoraggio della struttura finanziaria complessiva ad una dimensione adeguata di capitale proprio che ha la funzione di assorbire le perdite INATTESE (quelle attese sono già computate nel margine d’interesse).

I soggetti detentori della passività sono disposti a “tenere la posizione” a condizione che i loro crediti non siano in alcun modo contagiati dai rischi d’insolvenza che caratterizzano l’attivo della banca.
Con il termine solvibilità si fa in genere riferimento alla circostanza che il valore complessivo delle attività detenute e possedute dalla banca è superiore al complessivo delle passività in essere (patrimonio netto).
Vi è un problema di adeguatezza in quanto il valore dell’attivo è più o meno capiente rispetto a quello del passivo.

La nozione di solvibilità è del tutto distinta da quella di liquidità, infatti essa identifica una situazione statica, mentre la liquidità una visione dinamica, riferendosi alla capacità della banca di far fronte alle proprie obbligazioni sempre, nel corso del tempo. Ex post una banca solvibile sarà sempre liquida poiché essa sarà sempre in grado di far fronte a tutte le sue obbligazioni. Tuttavia nel corso del tempo possono coesistere condizioni di solvibilità con condizioni di disequilibrio finanziario (illiquidità): ciò dipenderà dalla sequenza dinamica dei flussi di cassa in entrata e in uscita.

Signoraggismo e nazismo

Nota di MMST

Come tutti i complotti il signoraggismo ha vari confini con l’antisemitismo. Dalla prima moderna teoria del complotto ovvero ”i protocolli dei savi di sion” in cui gli ebrei teorizzavano la conquista del mondo, le teorie della cospirazione si sono evolute e hanno cambiato fisionomia.
 Nonostante l’introduzione di particolari esotici, dall’11 settembre alle scie chimiche o alla medicina alternativa il fulcro della sostanza è sempre rimasto lo stesso: un gruppo di burattinai domina il mondo all’insaputa di tutti tranne che dei “ricercatori della verità” e che i cattivi si chiamino ebrei, banchieri, amministrazione bush o lucertoloni, poco importa.

Il complotto pertanto si può evolvere tanto da cambiare totalmente faccia, ma rimanendo in un circolo vizioso di consumatori (i complottisti sono sempre gli stessi, chi crede al signoraggio, crede quasi sempre alle scie chimiche, al complotto dell’olocausto, all’11 settembre e alla medicina alternativa), e facendo sue le più disperate ipotesi purchè in contrasto con la “versione ufficiale” può facilmente ripercorrere le sue origini.

L’ignoranza fa il resto.

Nel signoraggismo l’assenza di comprensione del fenomeno dell’iperinflazione può essere una miccia pericolosa. Auriti non la considerava un problema, i suoi adepti nemmeno la riconoscono, qui in un siparietto comico di signoraggisti considerano lo Zimbawe una nuova svizzera perché le banconote hanno tanti zeri , in realtà quell’importo numerico elevato è la conseguenza dell’iperinflazione che ha colpito il paese; spiace per i possessori ma quelle monete non valgono nulla.

Non comprendere il fenomeno per il complottista vuol dire che le cause sono misteriose. Se le cause sono misteriose ad avvenimento compiuto ognuno ha licenza di accusare il primo marziano che gli salta per la testa.
Per la totalità degli economisti l’iperinflazione è causata dall’incremento degli aggregati monetari, slegato all’andamento economico, nella storia è avvenuto quando la spesa pubblica è stata finanziata prevalentemente con la stampa di moneta.

La stampa di moneta è effetto dei deficit di bilancio pubblico che rappresentano un costo, in altre parole lo stato consuma più delle risorse che preleva attraverso la tassazione. Questo concetto di costo per i sostenitori del complotto non esiste.

Nella repubblica di Weimar l’iperinflazione aumentò negli anni’20 a causa dell’uso dell’emissione monetaria per finanziare i forti deficit di governo, composti prevalentemente dalle spese di ricostruzione postbellica e dal pagamento dei danni di riparazione imposti dal trattato di Versailles. Nel 1923 l’occupazione delle truppe francesi della Ruhr fece precipitare la situazione; le miniere di carbone vennero sequestrate, l’indotto industriale si fermò e la massa di disoccupati venne risarcita da ulteriori incrementi di emissione di denaro consegnati direttamente dalla banca centrale. Come scrisse Pollard: “nell’agosto del 1923 la reichsbank aveva trenta cartiere che la rifornivano di carta che veniva poi trasformata in banconote attraverso centocinquanta tipografie che facevano andare giorno e notte i loro duemila torchi”*
Pure un bambino capisce che in queste situazioni il valore del marco tedesco si azzera e questo è ciò che avvenne. Invece no per i qualche imbecille la causa sono le vendite dei marchi allo scoperto effettuate dagli speculatori internazionali

Una considerazione ridicola e priva di qualsiasi fondamento anche perché le vendite allo scoperto sono tranquillamente praticate nei mercati valutari tuttora, alcune manovre sono sotto torchio e sotto restrizione a causa della crisi finanziaria ma i risultati non hanno alcun collegamento con l’iperinflazione.
Se queste imbecillità fossero relegate a qualche clown contemporaneo si sarebbe potuto accettare, invece la sfortuna vuole che i nazisti abbiano usato queste stesse “argomentazioni” negli anni’30 per aggiungere accuse altri capi d’accusa contro gli ebrei.

Questo è un esempio in cui una conoscenza maggiormente condivisa del fenomeno monetario forse avrebbe potuto smorzare lievemente la follia anche se l’antisemitismo era ben più profondo e radicato in europa. Ma senza divagare questo è un chiaro contatto tra il signoraggismo e le sue origini.

*”Storia economica del novecento” Sidney Pollard ed Mulino.

mercoledì 17 novembre 2010

Tutto il mondo è paese: i tribunali incompetenti

Posto una nota di MMST, premettendo che mi ripropongo in futuro di pubblicare una nota più estesa sulla sentenza della Corte di cassazione.








Cosa hanno in comune il “credit river case”, e la “Sentenza del Giudice di Pace di Lecce sul signoraggio”? Queste sono le due vittorie giudiziarie che i signoraggisti presentano e spammano in tutto il web come prova della fondatezza della loro propaganda.
Peccato che si dimentichino di evidenziare le altre parti comuni, furono tutte e due emesse da giudici di pace incompetenti nella propria materia e entrambi bocciati in appello*. Due vittorie del piffero per farla breve.
Nel caso nostrano il giudice di pace di lecce aveva accolto la causa intentata da un cittadino italiano contro la banca d’italia per la restituzione dei proventi da signoraggio. Il giudice ha condannato la banca d’italia a risarcire una somma di un’ottantina di euro a ciascun cittadino. Il ricorso in cassazione fu promosso dalla banca d’italia su sei punti; alla corte bastò esaminarne due di questi per gettare la sentenza del giudice di pace nella spazzatura. Sentenza della corte
Ricordandoli le motivazioni furono le seguenti:
–il convenuto era la banca centrale europea individuato dal giudice di pace nella filiale italiana (la banca d’italia). In realtà la BCE e la Banca d’italia sono due soggetti giuridicamente distinti e la competenza per le cause della BCE è la corte di giustizia europea.
-Il modo di espletamento delle funzioni sovrane dello stato attraverso le competenti istituzioni non è sindacabile dal giudice (deriva direttamente dal concetto di separazione dei poteri).

Non sono proprio errori veniali per chi dovrebbe conoscere la giurisprudenza.

Ancor meglio ha fatto qualche giurista americano. Il filmato Zeigteist Addendum ricorda il caso "credit river" ovvero First National Bank of Montgomery vs Jerome Daly del 1968. Zeitgeist addendum
Il sig. Daly si era opposto al pignoramento del suo immobile da parte della banca sostenendo di non aver ricevuto alcun mutuo ma solo un accredito su conto corrente, (Il fatto che quell’accredito gli fosse servito per acquistare l’immobile per Daly a quanto pare è irrilevante), dato che quel prestito era denaro creato dal nulla non era dovuta la restituzione. La giuria si bevve questa stupidata e il giudice di pace Martin V. Mahoney diede torto alla banca.
Zeigteist addendum da questo esempio sbrodola deliri sulle possibili e grandiose implicazioni che la sentenza dovrebbe comportare: tutti i residui di mutui da pagare annullati, ma che dico annullati solo i residui, di più! rate e immobili da restituire, annullamento di tutti i debiti….
Peccato che nessuno ricordi che la sentenza fu annullata dalla corte suprema del Minnesota in appello (fonte) precisando che la legge dello stato del Minesota esclude dalla competenza i giudici di pace per tutte le cause civili o penali di ammontare superiore a 100 dollari.
Consigli per il futuro: prima di affidarsi come prova inconfutabile delle presunte conoscenze monetarie di qualche giurista di turno, ci si potrebbe assicurare se per prima cosa se il soggetto in questione conosca la legge in base alla quale dovrebbe giudicare e secondo se sappia contare fino a 100.


*Per la precisione dalla corte suprema dello stato e dalla cassazione

martedì 16 novembre 2010

Sulle fonti di Zeitgeist

Pubblico una nota inviatami da MMST


Peter Joseph ha deciso di pubblicare le fonti usate per la composizione del suo filmato Ziegteist 1, un mattone di 202 pagine scaricabile su questo sito
La bibliografia, che si può scorrere velocemente, è segnata in nota a piè pagina e non poteva che essere prodotta dal marasma confusionario nel quale pescano i complottisti, tanto che da un rapido sguardo sulla parte dell’11 settembre con perle del calibro di Honegge, pilotsfortruth e ae911truth sembra proprio che in paragone i nostrani Mazzucco e Blondet non sfigurino affatto.
Quello che mi interessava era evidenziare le sue fonti nella terza parte quella monetaria, soprattutto le citazioni “dubbie”.

Un veloce sguardo di risposta a quelle che avevo evidenziato come false o fallaci:
-Franklin: la fonte della sua frase in cui avrebbe affermato che a causare la rivoluzione americana fu il divieto di stampare moneta per le colonie,è una deduzione di Peter Cooper nel suo libro che prende spunto dall’interrogatorio di Franklin da parte del governo inglese il quale però è una dichiarazione anteriore alla rivoluzione americana non una considerazione ex-post.
- Josiah Stamp: la fonte della famosa frase è da attribuire agli scritti di Paul Hellyer un ufologo, però Peter Joseph precisa che sebbene non si trovi la fonte primaria rimane il fatto che se la citano tutti sarà pur vera.
- Rothschild: non si è degnato di mettere la fonte sulla sua citazione, forse mi sarà sfuggita o più probabilmente era troppo ridicola.
- Wilson: il suo patetico collage in cui sembrava essersi pentito di aver firmato il fed act non è stato accennato.

Poi si può andare a campione e vedere come per esempio Joseph giustifica la frase in cui afferma che la fed è una impresa privata e la documenta con fonti molto pesanti: il delirio pubblico di McFadden già trattato e indice di grande credibilità e gli scritti di Ellen Brown una complottista che crede che la seconda guerra mondiale sia stata causata da un attacco dei banchieri contro Hitler e contro la sovranità monetaria
E si può andare avanti con la crisi del ’29 in cui prima di ipotizzare che i burattinai abbiano provocato il disastro uscendo pochi minuti prima dello scoppio e rientrando successivamente, la logica richiederebbe almeno di provarlo con forti indizi portando dati evidenti.
Invece joseph prende ritagli del New York Herald Tribune in cui si parla di Rockfeller che acquista titoli pochi giorni dopo la crisi (cosa che fanno tutti gli investitori che non si fanno prendere dal panico, di larghe vedute e con tanti soldi senza troppe macchinazioni), l’articolo di Gary Allen che interpreta ex post le parole di Warburg, e una lettera a un giornale australiano di un atleta inglese che quando era in viaggio a New York avrebbe intravisto il governatore della Bank of England in incognito reduce da una segretissima riunione nella Fed (a proposito ma non era a Washington… che ci faceva a New York) e che gli avrebbe confidato un collasso dei mercati finanziari e naturalmente gli avrebbe detto di non dirlo a nessuno. Insomma da scompisciarsi dalle risate.
C’è molto altro e di tutti i gusti, l’ultima chicca che segnalo riguarda il materiale sulla fed che è prevalentemente riportato dal libro scritto da G. Edward Griffin un regista complottista con la passione per il cancro curato dall’amigdalina (noi invece abbiamo il bicarbonato). Insomma nel circo del complottismo troviamo sempre la stessa gente.

sabato 13 novembre 2010

La banca romana

Pubblico volentieri una nota che mi ha inviato MMST



Se vi è un riscontro verosimile nel panorama della storia monetaria italiana relativo alle paranoie signoraggiste, questo ha il nome della banca romana.

Nata nel 1835 grazie a capitali francesi e belgi la banca romana divenne l’istituto d’emissione dello stato pontificio e dal 1870 una delle sei banche italiane autorizzate a battere moneta confermato dalla legge sugli istituti d’emissione del 1874.


Gli istituti di emissione che potevano emettere moneta secondo la normativa nei limiti massimi di tre volte il capitale

societario e di tre volte l’ammontare delle riserve in metalli preziosi, avevano il compito di accompagnare e sostenere lo sviluppo economico italiano della seconda metà del ‘800, un periodo che vedeva per alcune regioni la nascita della rivoluzione industriale, accompagnata da una consistente crescita economica, da uno sviluppo urbanistico ed edilizio.


Allo stesso tempo si esponevano alle turbolenze finanziarie internazionali, la cui fragilità è testimoniata dalle frequenti crisi dei mercati, poteva generare repentini rientri dei capitali stranieri causando veri e proprie rischi di solvibilità dell’intera economia nazionale. Pertanto il governo garantì tacitamente protezione ripristinando il corso forzoso a ogni segno di crisi di liquidità e allentando i requisiti di riserva tramite decreti negli anni ’80.


Inoltre era affidato all’esecutivo il ruolo di controllo tramite il potere di ispezione, carica nella quale il governo dimostrerà di non avere alcun requisito di trasparenza, indipendenza e credibilità che dovrebbero appartenere a ogni autorità vigilanza.


Gli anni’80 videro in questo contesto la banca romana guidata dal governatore Bernardo Tanlongo, protagonista in una serie di operazioni spericolate di prestiti nel settore edilizio senza corrette valutazioni dei progetti o senza le dovute garanzie con conseguenti esposizioni messe fuori bilancio che violavano i limiti e le normative di legge. Per proteggersi in caso di bancarotta il governatore Tanlongo aveva coltivato una serie di clientele politiche mantenute a suon di quattrini che comprendevano tra le decine di parlamentari, tre presidenti del consiglio e il re Umbeto I.

Di fronte alle spese abnormi e allo scoppio della bolla immobiliare che ha messo sul lastrico l’istituto Tanlongo si mise a fare signoraggio in proprio, decidendo di coprire gli ammanchi di cassa con l’uso della stampante.

Nella prima ispezione del 1888 vennero scoperte duplicati di banconote (stampate con lo stesso numero di serie) per un ammontare di 9 milioni di lire, ufficialmente ordinati dalla tipografia per sostituire le banconote vecchie in realtà mai ritirate; i risultati rimasero sulla scrivania del ministro dell’industria e non vennero resi pubblici.

A un successivo controllo nel 1892 il conto delle banconote replicate abusivamente venne rettificato a 40 milioni e più di 70 milioni le esposizioni in eccesso oltre i limiti stabiliti dalla legge, nel 1893 quandò venne messa in liquidazione e il suo governatore rinchiuso in carcere, la banca romana a fronte di riserve nulle aveva più di 100 milioni di lire in banconote in circolazione.


Che le prove siano state ignorate o distrutte dai giudici è solo un dettaglio, che ha portato all’assoluzione di tutti gli imputati coinvolti.

Conseguenze per la politica furono poche; Crispi stette saldamente in poltrona guidando il governo, Giolitti rimase in parlamento aspettando il suo turno per riprendere la presidenza del consiglio nel 1903 avendo una carriera politica paragonabile a quella di Andreotti, insomma i fatti dimostrano che questi soggetti pur rispondendo al popolo ed essendo soggetti ad elezione (sebbene a malapena votavano il 5% della popolazione), hanno fabbricato porcherie difficilmente replicabili.

Ora da questi fatti si possono fare due tipi di riflessioni.

Si può esaminare seriamente la questione evidenziando la questione della mancanza di separazione tra i poteri; cercare per esempio di capire che senza un CSM i giudici diventano ricattabili e aggredibili dal potere politico, e che se l’autorità di vigilanza legifera sui controllati o ha potere esecutivo verso i controllati non sempre la soluzione è ottima, se viene corrotta poi perde ogni tipo di crebilità indipendentemente dal suo processo di nomina.

Oppure si può considerare il problema il fatto che Tanlongo non fosse un dipendente pubblico o una soggetto non eletto ogni cinque anni pensando che la magica parola sovranità popolare risolva ogni tipo di questione.

Ad ognuno la propria conclusione.



Riferimenti:

Le banche di emissione in Italia trail 1861 e il 1893:un caso di concorrenza?
Lo scandalo della Banca Romana



La rai ha fatto anche un film:

Lo scandalo della banca romana
di cui questa è la locandina web

venerdì 12 novembre 2010

Banca Centrale, potere effettivo, conflitto di interessi e proprietà delle banche

Posto un altro articolo tratto dal nuovo pdf di Foto Gian


I partecipanti al capitale della Banca d'Italia non sono azionisti qualsiasi. La legge bancaria del 1936 art. 20 [12] riserva le quote a banche, assicurazioni e istituti di previdenza rimasti fino al 1992 di proprietà pubblica.
Oggi tra i principali azionisti delle banche, trasformate in spa o banche di credito cooperativo dalla legge Amato-Ciampi del 1992, ci sono le fondazioni bancarie, i cui consigli di amministrazione sono nominati dagli enti locali e dalle organizzazioni professionali.
Anche se trasformata in spa, la proprietà di molte banche resta sotto il controllo pubblico sotto forma di fondazione bancaria.

Perciò se dovessimo applicare la logica di chi dice che la Banca d'Italia è privata perché sono privati i suoi azionisti, dovremmo concludere che la Banca non è affatto privata e, paradossalmente, non sarebbe privata neppure se fosse organizzata come una società per azioni.

Infatti le banche -seguendo tale logica- sono da considerarsi pubbliche, visto che le fondazioni che le controllano non appartengono ad azionisti privati né seguono interessi privati.
Ma se le banche che possiedono quote del capitale della Banca d'Italia non sono private, neanche la Banca lo è e non lo sarebbe neanche se fosse organizzata sotto forma di spa.

Il potere effettivo degli azionisti è di fatto nullo. Lo disse nel 1926 J.M.Keynes che riferendosi alla Banca d'Inghilterra ha scritto: è un “caso di istituzione che teoricamente è di proprietà assoluta di alcune persone private” ma che “non vi è classe di persone nel Regno quanto i suoi azionisti cui il governatore della Banca d'Inghilterra pensi di meno quando decide circa la sua politica” [13].

Senza potere, scompare il conflitto di interessi, in nome del quale, peraltro, già nel 1936 lo Statuto della Banca esclude dal Consiglio superiore della Banca gli amministratori delle banche. Ce lo ricorda lo storico De Rosa [14] che racconta di come il presidente dell'Associazione delle casse di risparmio italiane, De Cataldo, dopo aver chiesto alle banche associate di convertire le 140.000 azioni possedute e di incrementare il numero delle quote di Bankitalia, puntasse a far valere il peso degli associati nella nuova Banca d'Italia.

Attesa delusa. Il governatore Azzolini spiegò che era stato Mussolini a volere l'esclusione degli amministratori delle banche dal Consiglio superiore “sulla base del principio che gli Istituti vigilati non potevano diventare nello stesso tempo organi vigilanti” [15].

(11) De Mattia, Storia del capitale..., pag. 57
(12) http://www.italgiure.giustizia.it/nir/lexs/1938/lexs_110993.html
(13) J.M.Keynes, La fine del laissez-faire, in Teoria generale, UTET, 2006, pag. 128
(14) De Rosa, Storia delle casse di risparmio e della loro associazione, Laterza, pag. 313-4
(15) De Rosa, Storia delle casse di risparmio e della loro associazione, Laterza, pag. 314
(16) Krugman P., Il ritorno dell'economia della depressione e la crisi del 2008, Garzanti, pag. 181

giovedì 11 novembre 2010

La frottola dei soci occulti della Banca d'Italia (aggiornamento)

Pubblico la nuova versione della sezione omonima dell'ormai noto pdf di Foto Gian

Un'altra frottola riguarda i soci della Banca d'Italia, che sarebbero ignoti, mentre Bankitalia
sarebbe una società per azioni.
Nel primo numero del 1994 il settimanale religioso Famiglia Cristiana ha scritto che l'elenco dei partecipanti era riservato. Concetto ribadito da molti siti internet interessati al signoraggio.
La memoria rimanda alla bufala secondo cui Kennedy è stato ucciso per questioni legate al signoraggio. Se si cerca la fonte nel libro Il paese dell'utopia, si scopre che la fonte è un periodico religioso, che ha collegato la morte di Kennedy al signoraggio.

Insomma, che si tratti dell'uccisione di Kennedy o dei partecipanti al capitale della Banca d'Italia, la fonte è sempre un periodico religioso. Non un testo di economia o di storia.
Ma cosa si sapeva prima del 2004? Volendo, si poteva sapere tutto. Basta cercare i bilanci delle banche degli anni 1999-2001 per trovare indicazioni sulle quote del capitale della Banca d'Italia.

Ecco alcuni esempi.
Nel bilancio della piccola Cassa di Risparmio di San Miniato del 2001 (pag. 106) è iscritto lo 0,2173% del capitale della Banca d’Italia per un valore nominale di 652.000 lire.
Nel bilancio 2000 di Unicredit Group4 si trovano le quote (oltre il 10% in totale) possedute dalle nove controllate.
Il Banco di Sicilia (pag.222/339) nel 2000 aveva quote corrispondenti al 6,343% del capitale di Bankitalia. Il Monte dei Paschi di Siena (pag.108) nel bilancio 2002 risulta avere 7500 quote.
Milano Assicurazioni (pag. 296) nel 2001 aveva 2000 quote.
I dati nei bilanci delle singole banche erano quindi disponibili prima dell'elenco presentato da
Mediobanca, che ha solo letto i bilanci di banche e assicurazioni prendendo nota delle quote del
capitale di Bankitalia possedute da ciascuna.

Chiunque avrebbe potuto fare lo stesso. Bastava disporre dei bilanci delle banche. Ma nessuno l'ha mai fatto fino al 2003. I dati quindi non erano riservati. Semplicemente nessuno è mai andato a cercarli.

O forse nessuno ha mai cercato le fonti. Io ho chiesto aiuto al professor Gianni Toniolo, che mi ha consigliato di cercare i libri di Renato De Mattia. Ho trovato Storia del capitale della Banca d'Italia e degli istituti predecessori, edito dalla Banca d'Italia nel 1977.

Curioso che è stata la Banca a pubblicare su questo tema un libro consultabile in decine di
biblioteche pubbliche in tutta Italia.

E colpisce che, come si può leggere a pag. XVIII della prefazione, il primo ad essersi occupato -con l'assenso del governatore Azzolini- del tema del capitale della Banca è stato, nel 1938, Paolo Baffi, che diventerà governatore.

Lo studio di Baffi, interrotto a causa della guerra, è stato poi ripreso, idealmente, da De Mattia a metà degli anni '70 ed sfociato in un voluminoso libro in 2 tomi edito dalla Banca d'Italia.
Ce n'è abbastanza per escludere una volontà di nascondere i dati da parte della Banca d'Italia.
De Mattia ricostruisce la storia della Banca d'Italia, che nasce nel 1893 dall'unione di diverse banche con diritto di emettere moneta presenti nel momento dell'Unità d'Italia. E' una società per azioni e le sue 300.000 azioni finiscono nelle mani di azionisti privati, in maggioranza liguri e piemontesi.

Le azioni sono quotate in molte borse italiane e, negli anni venti, il loro prezzo oscilla troppo. Così dopo la riforma bancaria del 1926, la Banca d'Italia decide un aumento di capitale. Si emettono 200.000 azioni, metà delle quali assegnate alle Casse di Risparmio, che si impegnano a non rivenderle per almeno 10 anni. Lo scopo è stabilizzare il prezzo delle azioni.

Le casse di risparmio si ripartiscono le azioni “in proporzione ai depositi amministrati” a fine 1927 e l'elenco è stato pubblicato nella Relazione all'adunanza generale straordinaria degli azionisti della Banca d'Italia del 18 giugno 1928. Sono 107 le casse che aderiscono all'aumento di capitale e i nomi si trovano nella tabella 20 del tomo II del libro di De Mattia, divise per aree geografiche.
La suddivisione regionale risponde a una esigenza di attenzione ai territori richiesta alla Banca, che nomina il Consiglio Superiore con diverse elezioni presso le sedi regionali.

Nel 1936 cambia tutto. La Banca d'Italia non è più una spa. Diventa un istituto di diritto pubblico.
Si procede al rimborso degli azionisti privati, che ricevono 1.300 lire per ogni azione posseduta e all'assegnazione, da parte di un Consorzio, delle quote del capitale da parte dei "partecipanti" che possono essere solo banche, assicurazioni e istituti di previdenza.
Il Consorzio decide che le casse di risparmio, che nel frattempo hanno comprato altre azioni (circa 42.000) nella speranza di contare di più nel rapporto con la Banca d'Italia, investano nel capitale della Banca la somma derivante dalla rimborso delle azioni.
1300 lire per oltre 140.000 azioni (100.000 sottoscritte nel 1926 più quelle acquistate in seguito) danno luogo a un rimborso di oltre 185 milioni di lire, reinvestiti, da 88 casse in 185.056 quote (su 300.000 totali).

La maggioranza del capitale è in mano alle casse di risparmio, che tuttavia decidono poco o, meglio, nulla, come ha raccontato lo storico Luigi De Rosa [nota].
Le restanti 114.944 quote sono ”ripartite pro rata fra gli alti enti e istituti nominati dalla legge partecipanti al consorzio”11, vale a dire tra 11 banche, 9 assicurazioni e l'INPS che ottiene 15.000 quote.
Tutto ciòè raccontato da De Mattia nel libro del 1977, ma era noto già nel 1937.

Basta procurarsi l'Adunanza generale ordinaria dei partecipanti di Banca d'Italia relativo al 1936, l'equivalente dell'epoca della Relazione annuale del governatore per leggere a pagina 71 che:

"Al 31 dicembre 1936, gli enti e istituti possessori delle 300 mila quote di partecipazione al
capitale della Banca erano suddivisi nelle seguenti categorie:
Casse di risparmio, n.88 per quote 185.056
Istituti di credito e banche di diritto pubblico, n.11 per quote 68.444
Istituti di previdenza, n.1 per quote 15.000
Istituti di assicurazione n. 9 per quote 31.500"

De Mattia offre dati più particolareggiati, perché -si può supporre- ha avuto a disposizione
documenti presenti solo nell'archivio romano della Banca. E' così possibile conoscere la
distribuzione delle quote per per categorie di soggetti proprietari e in base alla distribuzione
territoriale (tabella 21, tomo II), distribuzione utile a capire quali banche possedessero quote.

Ad esempio esiste un solo istituto di diritto pubblico toscano: può solo essere il Monte dei Paschi di Siena; un solo istituto in Piemonte, che possiede 2500 quote: è l'Istituto Bancario San Paolo.

Infine De Mattia racconta i pochi passaggi di proprietà delle quote dal 1937 in poi. In pratica il capitale della Banca è rimasto sempre nelle stesse mani.
Fino al 1992, aggiungo io, quando arriva la legge Amato-Ciampi che dà il via al valzer delle fusioni e acquisizioni bancarie e, con esse, all'aggregazione delle quote del capitale della Banca d'Italia, possedute oggi per oltre il 42% dal gruppo Intesa-San Paolo direttamente e indirettamente attraverso le banche controllate, come la Cassa di Risparmio di Bologna.

Il fatto che solo nel 2003 siano saltate fuori notizie sui partecipanti al capitale si spiega con i pochi passaggi di quote da una banca all'altra. Un tema interessa se cambia qualcosa. La distribuzione del capitale della Banca d'Italia è rimasto praticamente invariato per decenni e a pochi è venuta la voglia di occuparsi dell'argomento.



[nota]
De Rosa, Storia delle casse di risparmio e della loro associazione, Laterza, pag. 306 e seguenti
De Rosa racconta che il presidente dell'associazione delle casse (ACRI), De Capitani, riteneva di poter contare di più nel Consiglio Superiore della Banca d'Italia e per questo motivo chiese alle casse di acquistare azioni. Aveva ricevuto assicurazioni in tal senso dal governatore Azzolini.
Ma alla fine nel Consiglio Superiore non entra alcun rappresentante delle Casse, che pure avevano oltre il 60% delle quote, a dimostrazione di quanto contino davvero i partecipanti nella Banca.
Nello statuto si stabilisce infatti l'incompatibilità per gli amministratori delle Casse di Risparmio, delle Banche e degli Isituti di diritto pubblico a far parte del Consiglio Superiore della Banca d'Italia.
Le Casse protestano ma si sentono rispondere che gli istituti vigilati non potevano diventare organi vigilanti e che tale decisione era stata presa da Mussolini (De Rosa, pagg. 313-314)